La giornata nera dell'atletica. La giornata nerissima dello sport. Tyson Gay, poi Asafa Powell, poi la nazionale giamaicana quasi per intero, eccezion fatta per sua maestà Usain. Nel giorno in cui il ciclismo si interroga sull'impresa di Froome che doma il terribile Ventoux, l'infinita scalata verso quella cima “pelata” che costa lo svenimento a Quintana e fatica immane a tutti, è il mondo della corsa, il mondo degli sprinter a scoprire o meglio riscoprire il demone del doping. Nella rete non nomi qualsiasi. I nomi più altisonanti, con i mondiali di Mosca alle porte. Lo statunitense Tyson, il più veloce al mondo quest'anno nella gara regina, quei 100 metri da volare tutti d'un fiato, quei 100 metri che durano poco, pochissimo, ma regalano infinite emozioni. Sarebbe stato duello bellissimo con l'istrionico Bolt, il fenomeno tra i fenomeni. Sarebbe stato.... Poi poco dopo Powell. Lui Asafa, attore principe, fino all'avvento del regale compagno. Primatista e campione. Anche lui. Pochi mesi dopo Veronica Campbell-Brown, ieri Nesta Carter e Sherone Simpson. Doping di squadra. Semplice ed essenziale. La Giamaica che aveva spodestato gli Usa. La Giamaica, terra di fenomeni, si scioglie al sole. Lei e Tyson. L'atletica dei record scompare. Si scioglie al sole della realtà, si scioglie quella nube di oblio attorno a prestazioni al limite. L'essere umano, le agenzie, gli sponsor, i team. Quella volontà di non accettare la sconfitta. La necessità della vittoria ad ogni costo, aldilà del bene o del male. Barare, sì. Vincere, sempre.

 

Per tutti stessa sostanza, metilsilofrina. Uno stimolante. Per tutti, positività il 21 giugno, a Kingston. Qualificazioni mondiali. Con la beffa per Powell di non essersi nemmeno qualificato in quella occasione. Il quotidiano giamaicano The Gleaner ieri ha lanciato lo tsunami che ha sconvolto non solo l'atletica. Addirittura arrestato il preparatore atletico di Asafa. Terremoto senza fine. Terremoto triste. Il 16 maggio invece il giorno fatale di Tyson Gay. Tra un “mi sono fidato di gente sbagliata” e un “è colpa della nuova dieta”, fioccano ora le previste quanto stucchevoli smentite di rito. Il fenomeno potrebbe non fermarsi qui. Per ora restano fuori Bolt e Fraser. Per ora.

 

Da Seul '88. Da Ben Johnson a Veronica Campbell. Fino a ieri. Gli sprinter più grandi avvolti dal fantasma del doping. Diavolo tentatore, scorciatoia attraente. Ricordo allora con piacere Pietro Mennea. Scomparso poco tempo fa. In silenzio. Come in silenzio aveva trascorso la vita d'atleta. Grande, aldilà dello show. Riluttante allo show. Nello spettacolo di oggi, dove l'atletica è più contorno e meno allenamento, più televisione e meno fatica, il duro Mennea non avrebbe trovato posto. Non avrebbe voluto un posto. Lui era lavoro e allenamento. Lavoro, sempre lavoro. Il sudore, mezzo per arrivare ai risultati. Lui che mai nella vita ha accettato agevolazioni di qualsivoglia specie, oggi avrebbe scosso la testa. Squalifiche in arrivo, ma ancora una volta non saranno due o quattro anni a cambiare il mondo dell'atletica. Per l'atletica, per lo sport, un giorno triste.