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Mosca 2013: quel che è stato e quel che sarà

Bolt, Fraser e Mo Farah, volti felici. L'atletica messa in ginocchio dal debordante dilatarsi del fenomeno doping, dalla Giamaica alla Turchia, prova ad affidarsi ai suoi volti più rappresentativi per aprire l'era del riscatto. L'Italia si conferma piccola e in difficoltà. Una sola medaglia, quella della Straneo. Tanti dubbi, tanto da lavorare.

Mosca 2013: quel che è stato e quel che sarà
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Di Johnathan Scaffardi

É Usain Bolt, il suo essere personaggio, oltre la pista, il suo esser guascone quasi fin all'eccesso, l'ultima istantanea della Mosca mondiale. Chiude lui, oltre tutti. Più grande di Michael Johnson, più in là del figlio del vento, Carl Lewis. Il più grande velocista di sempre nella storia iridata. La Giamaica messa in ginocchio dal doping, stroncata dalle squalifiche di Powell, Campbell, Simpson, assediata da sospetti e intrighi, risale dalle sue fondamenta. Si affida alle solide basi dei suoi campionissimi e si conferma regina della velocità. Fraser e Bolt. Tripletta. 100,200, staffetta. Dominio incontrastato. Meno sorridente Usain stavolta. Lui, controllato più e più volte. Stanco delle reiterate domande sulla squalifica dei suoi compagni, sul “fenomeno” Giamaica. Meno in palla di altre volte. Un Bolt umano. Vince, ma fatica. Weir e Gatlin non sono anni luce distanti. Sono lì, quasi scudieri del più grande. Shelly Ann si conferma dopo Londra. Mostra crescita continua. Sfrutta l'anno difficile della Jeter e l'infortunio della Felix. Campionessa olimpica e mondiale. Storia.

 

É stato il mondiale di Yelena Isinbayeva. Zarina tornata signora. L'asta ritrova la sua dea. La donna volante ritrova se stessa, dopo le delusioni, cocenti, del recente passato. Respinge la Suhr e la Silva, e lo fa nel teatro più difficile. Al Luzhniki, sommersa dal boato del suo pubblico, con un attrezzo reso ancor più pesante dall'immane pressione di non poter sbagliare proprio a Mosca. Proprio a casa. Che bella la felicità sul suo volto, quasi da bambina, dopo quel 4.89 che significa trono mondiale! Ora lascia, ma non si ritira. La famiglia, poi il ritorno. Troppo forte il richiamo di Rio, troppo forte la tentazione di tornare, dopo il quarto posto di Londra. Percorso inverso quello di Mo Farah, che due volte oro nell'Inghilterra che lo ha accolto, disegna qui un altro capolavoro. 5.000 e 10.000 per una doppietta da leggenda.

 

Regala emozioni il salto triplo. Thamgo vola oltre i 18 metri. Plana a misure quasi inesplorate. Quasi ad avvicinare Sir Jonathan Edwards. Il triplo terra di azzurra delusione arride alla Francia. Chissà che tristezza sul volto di Daniele Greco per quel maledetto infortunio, che l'ha tenuto lontano dalla magica pedana moscovita. Sarebbe stato protagonista in una gara stellare. Una finale su misure incredibili, senza Fabrizio Donato. L'eterno campione, perennemente in lotta con la rassegna mondiale.

 

Immagini. Flash. La volata della Ohuruogu a beffare la Montsho, un LaShawn Merritt perfetto che distrugge Kirani James. La sorpresa Holzdeppe nell'asta maschile e il grande Storl nel peso. Il giavellotto di Vesely e Obergfoll. L'Etiopia e il Kenia a contendersi le distanze più importanti. La Sum che incredibilmente si ricopre d'oro negli 800, spegnendo gli “ardori” della Savinova.

 

L'Italia, per il medagliere, è stata solo argento d'esordio. La maratona meravigliosa della Straneo. Esempio di umiltà e sacrificio. Scoprirsi grandi, quando si pensava d'esser battuti. Infortuni, operazioni, ostacoli in ogni dove. Poi a 37 anni la gioia di una vita. Dalla polvere all'altare, con la classe, ma soprattutto con la volontà. Attaccando dal primo all'ultimo metro. Senza paura. Una gara, una semplice gara, seppur mondiale, non poteva spaventare una che aveva visto ben altro nella vita. Forgiata nelle difficoltà, nelle difficoltà si è scoperta grande. Un argento che val ben più di un oro. Non si è messo al collo nessun simbolo il capitano Vizzoni, ma ancora una volta ha indicato la via. Capace di centrare la finale, strappata con i denti, di migliorarsi e stare lì fino alla fine. Non lontano dai 78 metri. Uomo da competizione. Applausi convinti a Libania Grenot e a tutte le quattrocentiste azzurre, squalificate, ma bravissime. Qualche rimpianto lascia Alessia Trost, fuori nell'alto a 1.97, ma con la consapevolezza di valere molto di più. Nella specialità più azzurra, che è stata di Simeoni e Di Martino, un'altra regina è pronta a prendersi la scena. Dispiace per Veronica Borsi, fermata da un problema al piede negli ostacoli. Qui ci fermiamo, perché per il resto sono note meno liete. Sorrisi amari. Non decolla l'atletica di casa Italia. Giovani, pochi, che non trovano l'acuto. La maturazione agonistica tarda ad arrivare. Abbiamo perso per strada un talento come Howe, che senza Phillips, il vero Phillips, e Saladino, avrebbe detto la sua nel lungo. Fatichiamo nella velocità,come nel mezzo fondo. Serve un'attenta analisi. Cruda e veritiera. Ricostruire, puntare in maniera decisa sui prospetti migliori. In stato vegetativo l'atletica azzurra ha bisogno di una forte scossa.