Una liberazione, una catarsi sportiva. "Ci vediamo il 15", così Libania Grenot aveva chiamato a raccolta il pubblico dell'atletica. L'arcobaleno che incornicia il Letzigrund, tempio mondiale, è il preludio al giro di pista. Una gara d'assalto, 400 metri in cui scaricare ogni energia per cancellare quella fama da perdente, raccolta in anni di buoni risultati privi di acuti nei momenti più importanti. 

Libania corre il rettilineo iniziale e la curva con il piglio di chi non ammette repliche e si indurisce sulla retta finale, con il traguardo che sembra non arrivare mai. Dietro di lei l'ucraina Zemlyak e la spagnola Terrero. Fuori dal podio la britannica Ohuruogu. In quell'orgogliosa tenacia c'è la voglia di mettere da parte lacrime, dubbi e critiche. In quel calo di tensione al traguardo, in quell'isolarsi da tutto e da tutti, la necessaria intimità di una campionessa finalmente grande. 

Tempo non straordinario, 51.10 - a otto decimo dal miglior crono datato 2009 -, per una vittoria dal sapore dolce, dopo la medaglia di legno di Barcellona e il sesto posto di Helsinki. Si muove il medagliere azzurro, con il metallo più pregiato. Resta ora, per la Grenot, la 4x400. Il quartetto italiano può ambire a un posto sul podio. 

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Johnathan Scaffardi
Lo sport come ragione di vita, il giornalismo sportivo come sogno, leggere libri e scrivere i piaceri che mi concedo