E’ il Gigante della Provenza, è lo scrigno di una fauna unica al mondo, è la vetta dove la natura si fa feroce, si fa brulla, si fa assente, lasciando l’uomo tra i sassi. E lì la terra si mischia al cielo, lì il sentiero è un calvario, la cima è un Golgota arido e disadorno. E’ il monte “ventoso”, dove la brezza, il maestrale, spira fino a 160 km/h. E’ il monte ventour, “che si vede da lontano”, con il suo osservatorio meteorologico in cima, che culmina a punta e sembra non arrivare mai. E’ la salita dall’asfalto che scotta, a luglio, con la strada ruvida, grigia e grinzosa, come una pelle di elefante. E’ la montagna tra i cui pendii Petrarca visse la sua crisi spirituale, mistica, uscendone rinnovato. E’ l’ascesa in cui anche Merckx, il Cannibale, ebbe un malore nel ‘70, dopo aver vinto la tappa. E’ il monte tra i cui tornanti trovò la morte Tommy Simpson, nel ’67: arresto cardiaco, a due chilometri dall’arrivo, per il caldo, la disidratazione, le anfetamine assunte prima della corsa. E’ semplicemente il Mont Ventoux, il “mostro”. La storia, la leggenda.

La centesima edizione del Tour de France onora il 14 luglio – la presa della Bastiglia e il principio della Rivoluzione – con la scalata al Ventoux dopo quattro anni (nel 2009 vinse Garate). Dolci ricordi italiani derivano dal 2000, con uno degli ultimi sussulti del Pirata, di Pantani. Che poi saltò in quel Tour, provando a farlo saltare, e concluse che quell’Armstrong “veniva dalla Luna”, confondendolo con l’Armstrong astronauta, Neil, che compì l’allunaggio nel ’69. Un Tour 2013 che sembrava chiuso ad Ax 3 Domaines, otto giorni fa, con Chris Froome a fare il carnefice. Poi la Sky si è sbriciolata lentamente, ha perso i pezzi, ha costretto il capitano a navigare nella solitudine. Poi il vento di Francia ha riservato sorprese, riaprendo tutto, rianimando gli sconfitti (Contador su tutti) o sminuendo i temerari (Valverde).

E’ per questo che la tappa odierna possiede tanto fascino, al di là dello charme naturale e inevitabile provocato dal Ventoux, immobile tra le nuvole, aspettando la carovana. Ed è la tappa più lunga di questo Tour, 242 km, prima di fare gli ultimi venti con la bici all’insù, con l’8% di pendenza media, con l’afa e il vento a massacrare gambe e mente già tormentate. La salita parte dolce, poi si indurisce, si inasprisce, si spoglia. Proietta l’uomo verso il cielo, nella fatica. Lo proietta verso la gloria, o verso niente. Ma quel niente è glorioso comunque, perché scalare il Ventoux colma il cuore in ogni caso.