“Vai Gino, vai”. Prendete un qualsiasi ragazzino degli anni 30'-40', oggi vicino a novant'anni. Almeno una volta ognuno di loro ha detto questa frase. I più fortunati per le strade, chi magari con le orecchie attaccate alla radio di casa. Perchè Gino Bartali non è stato solo un grande ciclista, capace di vincere tre giri d'Italia e due Tour de France, con ben cinque anni persi nel fiore della carriera a causa della Seconda Guerra Mondiale. E' stato un simbolo e un'icona della rinascita dell'Italia uscita dalle macerie della guerra, un salvatore, per certi versi, della patria, quando riuscì a vincere il Tour de France del '48, riuscendo nell'impresa epica di recuperare oltre venti minuti al francese Louis Bobet, e regalando così un sorriso a un paese sull'orlo della guerra civile dopo l'attentato al segretario del Pci Palmiro Togliatti.

Cresciuto a pane e lavoro, a Ponte a Ema, poco fuori Firenze, in una famiglia contadina, fu terribilmente sconvolto dalla morte prematura del fratello Giulio, dopo una grave caduta in una corsa da dilettanti. Pensò pure di smettere. Ma forse era scritto lassù nel cielo, al confine con le montagne a lui care, che dovesse diventare un grande campione, e in bicicletta non si è più fermato. Non ha smesso neanche durante la pausa forzata dei cinque anni a causa della Guerra. Fra il settembre del '43 e il giugno del '44 fece da tramite in bici tra Cortona e Assisi, per trasportare documenti e foto tessere nascoste nei tubi del telaio, da falsificare in favore della fuga degli ebrei rifugiati. Ma è stato un simbolo anche del gruppo nel mondo nel ciclismo. Lo trovavi dopo una tappa mangiare a sbaffo nel ristorante dell'albergo fino a scoppiare, senza trascurare il buon vino. Era toscano e si vedeva.

Eterna la sua rivalità con l' “acquaiolo” Fausto Coppi, definito da lui così per l'attenzione quasi maniacale del Campionissimo verso la dieta pre-gara. Una rivalità pulita, fatta di un reciproco rispetto, fra due grandi ciclisti, ma soprattutto due grandi uomini, che correvano si per vincere, ma anche per la propria patria. Indimenticabile, per quei pochi fortunati che l'hanno visto, il passaggio della borraccia fra Gino e Fausto sul Galibier, nel Tour de France del '52. Il simbolo di una rivalità quasi cavalleresca, fra due galantuomini. Uno scatto, quello del fotografo Carlo Martini di Omega Fotocronache, che lascia ancora oggi i dubbi su chi stesse passando la bottiglia al rivale, anche se la tesi più accreditata sta in Coppi benefattore di quell'acqua. Bartali, o “Ginettaccio”, poteva sembrare anche un leone rozzo sulla strada e nel lavoro, ma si trasformava tornando a casa la sera in famiglia, fra i suoi mogli e la moglie Adriana, scomparsa lo scorso primo marzo. Impossibile vedere due sposi più innamorati di loro. Se Gino è stato il campione che conosciamo, non è solo per le sue gambe e la sua forza d'animo, ma anche per la moglie che gli è stata sempre vicino, fino a quel 5 maggio 2000, quando un attacco di cuore l'ha portato via da tutti noi e dal ciclismo. Con lui forse se n'è andato quell'ultimo pezzo di storia di ciclismo italiano, che ha dominato nel pre e dopo Guerra, insieme a Fausto Coppi. Ed oggi è bene ricordarne il Centenario della nascita, perchè forse bisogna ringraziare Qualcuno più in alto di noi per averci regalato un ciclista, un uomo e un campione così.