Una lotta solitaria contro il cronometro e la distanza, questo è il record dell'ora. Un estremo tentativo di superare un limite, ben noto fin dal via. Bisogna andare forte, fortissimo, senza uscire dalla giusta via, per non ritrovarsi sul finire con poche energie in corpo. Correre, mulinare le gambe, infondere sui pedali la massima potenza, ottimizzando ogni movimento. Il corpo si fonde con la bicicletta, la schiena si piega nella posizione più aerodinamica. Il record dell'ora richiede una preparazione specifica, maniacale, non è da tutti, non è per tutti. Si corre su una pista, con il pubblico seduto, attorno, ad accompagnare il tentativo di impresa. 250 metri da ripetere più e più volte. Jack Bobridge ci prova, a Melbourne, australiano nel giardino di casa. Sa che per la storia deve battere Mathias Brandle, deve percorrere più di 51,852 km. Non ce la fa, si arrende all'ultimo, cadendo quasi sul traguardo. Lontano, tre giri sarebbero serviti per ricucire quello strappo, quel divario. Si ferma a 51,3 km, e si accascia. 

Le parole giungono dopo, ma basta lo sguardo, la smorfia, per raccontare la terribile fatica. La tuta che avvolge il corpo, la bicicletta che si trasforma in uno strumento di modernità, il record dell'ora sembra un semplice esercizio di eleganza, è in realtà qualcosa di massacrante. Specialità rifiorita nel periodo recente e ora seguita con interesse da tanti. Dopo il gigante Voigts, record a settembre poi cancellato da Brandle, ecco Bobridge. 

In futuro si attendono Rohan Dennis - il vincitore del Tour Down Under da poco conluso, pronto a tentare in Svizzera l'8 febbraio - e sir Bradley Wiggins. Il baronetto vuole apporre la firma su un altro capolavoro, il record dell'ora per chiudere una carriera straordinaria.