La Vuelta accende gli appassionati delle due ruote, ma a pochi giorni dalla partenza della corsa spagnola - cronosquadre da Puerto Banus a Marbella - un nuovo caso di doping sconvolge il mondo del ciclismo e sotto i riflettori finisce un altro alfiere italiano.

Il Team Katusha, azzoppato dal caso Paolini, si ritrova a un passo dal baratro, dopo l'accertamento della positività di Giampaolo Caruso. Lo scalatore di Avola, in forza alla squadra russa dal 2010, cade nella rete della CADF, una fondazione anti-doping indipendente dall'Uci e viene messo in scacco dai nuovi strumenti utilizzati per scovare sostanze illecite. Non si tratta, infatti, di un caso attuale, bensì di un controllo occorso nel marzo del 2012, lontano dalla competizione agonistica. Epo, questa la sostanza imputata allo scalatore azzurro.

Per Caruso, non la prima incertezza in carriera - fermato 6 mesi per l'assunzione di nandrolone nel 2003, ai tempi della Once - senza dubbio l'ultima. A 35 anni, con alle porte una pesante squalifica, l'esperto ciclista vede avvicinarsi il crepuscolo, un tramonto nero che oscura i risultati ottenuti negli anni di professionismo.

Variazioni sul passaporto biologico, da qui la decisione di ri-analizzare il trascorso, di far chiarezza sul passato dell'atleta. I risultati confermano i dubbi, Caruso positivo. 10 anni, questo il termine per scovare furberie di un tempo lontano. Ripulire l'immagine del ciclismo è impresa difficile, ma l'aria che si respira oggi è ben diversa.

L'Epo di Caruso, come detto, si accosta all'affaire cocaina di Paolini, e complica il futuro della Katusha. Il Team rientra nel Movimento per il ciclismo credibile e rischia ora di veder compromessa la partecipazione alla Vuelta. Stop immediato?

Per il ciclismo italiano, il quarto caso nel giro di pochi mesi. I "celebri" Paolini e Caruso si affiancano ad Apollonio e Taborre. Non un bel biglietto da visita.