Tutto come da copione nella terza tappa della Vuelta 2015, la prima, per fortuna, che fa parlare più di ciclismo che di polemiche. A spuntarla è, dopo una volata da manuale, lo slovacco Peter Sagan della Tinkoff-Saxo, classe 1990, che, a dispetto della sua giovane età, ha già vinto in carriera 4 tappe e 4 classifiche a punti al Tour e 4 tappe alla Vuelta. Rimane all'asciutto invece la squadra di velocisti per eccellenza, la tedesca Giant-Alpecin, che nonostane l'ottimo lavoro sullo sprint finale non è riuscita ad arginare lo straripante talento slovacco.

La tappa, una delle quattro ospitate dall'Andalusia, si è svolta più o meno in maniera classica, con due gran premi della montagna, di cui il più duro, al Puerto del Leon, piuttosto impegnativo con pendenze medie intorno al 5% e un picco al 15%. Proprio sulle salite si è concretizzata la fuga di giornata, composta da otto battistrada, tra cui spiccava per risultati l'attuale maglia a pois di miglior scalatore, lo spagnolo Fraile Matarranz del team Caja Rural. La fuga ha resistito fino a 14 km dal traguardo, quando l'ultimo ciclista scattato, Tjallingii, è stato riassorbito dal gruppo.

Finale di gara in gruppo compatto, con le squadre dei velocisti a lavorare per i loro sprinter. Su tutti, si sono segnalate le strategie della Tinkoff e della Giant, che hanno aperto la strada in testa al gruppo per favorire la partenza dei loro specialisti, rispettivamente Sagan e Degenkolb. Gli ultimi chilometri, pedalati a velocità spaventosa nella città di Malaga, hanno permesso una sorta di selezione tra corridori interessati e disinteressati alla vittoria di tappa, in un tunnel stretto a due chilometri dall'arrivo lungo il quale i gregari dei team di giornata hanno potuto lavorare alla perfezione, dimentichi del resto del gruppo. Lo sprint finale, lanciato dalla Giant per permettere la conquista della tappa a Degenkolb, ha visto però uno straordinario inserimento con i tempi giusti di Sagan che, rimasto in scia, ha saputo riconoscere il momento della partenza del suo rivale per partire un centesimo di secondo prima. Quel tanto che è bastato a vincere. In mezzo, da terzo (si fa per dire) incomodo, Bouhanni della Cofidis, che ha bruciato nel finale lo stesso Degenkolb. Primo degli italiani, al sesto posto, Sbaragli.

Poco o nulla cambia nella generale, dove continua la bella favola del colombiano Chaves, dell'Orica GreenEdge: il venticinquenne, cresciuto a pane e Quintana, continua a vivere il sogno di essere davanti al suo idolo, come detentore della maglia più importante. Il primo degli italiani resta chiaramente Aru: per lui, decimo posto a 47 secondi dalla maglia rossa.