Quando spiegheranno ai bambini come si vince un mondiale, tutti gli istruttori di ciclismo mostreranno le immagini di Peter Sagan. Lo slovacco di Zilina, classe 1990, ha trionfato nella prova in linea del circuito di Richmond, facendo terra bruciata dei diretti rivali con un attacco spaventoso. Non aveva mai vinto una classica, prima di oggi: per farlo, ha aspettato la gara più importante. Quella che gli consentirà di gareggiare per tutta la prossima stagione con indosso i colori del campione del mondo.

Una vittoria meritata, quella di Peter Sagan, costruita in sei ore e dieci di paziente attesa, dopo la quale ha deciso di infilare la sua stoccata. Per tutti i primi quindici giri del circuito di Richmond non ha fatto parlare di sé, se ne è rimasto in gruppo, senza mai perdere contatto con la vetta, ma senza neanche esprimere alcuna azione degna di nota. Poi, nel finale, dopo lo strappo sul pavé, ha scelto di fare le cose sul serio. Ha aspettato la pendenza massima della corsa, la seconda salita al 20%, ed è partito. Una progressione potente e fulminea, che ha lasciato basiti i diretti concorrenti, incapaci di stare al suo passo. Con la discesa successiva, poi, si è definitivamente assicurato la maglia di campione, assumendo la posizione aerodinamica in canna che gli ha consentito di aumentare il vantaggio. Sul rettilineo finale, in falsopiano, mentre l’andatura si cominciava a fare meno agile, si è limitato a controllare, per poi tagliare il traguardo con un’esultanza liberatoria e un bacio alla fidanzata, che lo aspettava all’arrivo.

Dietro di lui, lo sprint, che la regia americana ha pensato bene di non mostrarci, ha visto l’australiano Michael Matthews conquistare la seconda piazza del podio, mentre sul terzo gradino si è piazzato il lituano Ramunas Navardauskas, che ha battuto nel finale il grande favorito della vigilia, Alexander Kristoff, mentre l’altro su cui si tutti avevano scommesso in partenza, Degenkolb, è terminato nel limbo dei non pervenuti, dopo che aveva condotto la maggior parte dell’ultimo giro in vetta.

Sul fronte Italia, purtroppo, niente di buono e troppo su cui bisogna lavorare. I nove uomini di Cassani si sono resi protagonisti di una prova anonima, troppo timida nei giri iniziali e decisamente nulla nel finale. Il solo Nibali ha tenuto le prime posizioni del gruppo per tutta la gara, per poi cedere terreno poi quando gli affondi nel finale hanno creato selezione. Non pervenuto Ulissi, il solo ad aver raggiunto un posizionamento dignitoso è stato Giacomo Nizzolo, diciottesimo. L’unica fiammata del team azzurro è stato un tentativo di attacco di Viviani a 30 km dal traguardo: troppo presto per impensierire, troppo poco per lasciare un ricordo positivo di questa prova.

Infine, una nota sulla regia statunitense, un esempio calzante di come non vanno messi in onda gli eventi sportivi. Le inquadrature mostrano sempre gli uomini in vetta, anche se non hanno alcuna velleità di vittoria. Non vengono mostrati i distacchi, il cui onere viene lasciato all’ottima telecronaca Rai. Nel finale, quando tutti vorremmo vedere l’attacco sul secondo strappo, viene mandata un’inquadratura dall’alto che non rende neanche l’idea della pendenza, e il replay dell’affondo di Sagan mostra soltanto le prime due pedalate. Infine, l’errore sullo sprint finale corona una prestazione inconcepibile, intorno alla quale speriamo che lavorino al più presto i vertici UCI. Almeno in questo campo, rimaniamo i numeri uno.