Era dal 2008, dalla vittoria di Damiano Cunego al Giro di Lombardia, che un italiano non alzava le braccia al cielo per celebrare una vittoria in una classica monumento (Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre, Parigi-Roubaix, Liegi-Bastogne-Liegi e appunto il Lombardia) del ciclismo internazionale. Dopo sette anni è stato Vincenzo Nibali a chiudere questo periodo buio per i colori azzurri, centrando uno splendido successo - ottenuto di forza e di carattere - proprio nella "classica delle foglie morte" edizione 2015. 

Nibali, che ha sfruttato le sue doti di grande discesista per sorprendere e staccare i suoi avversari nella discesa del Civiglio, ha poi resistito sugli ultimi due chilometri delle rampe di San Fermo della Battaglia al ritorno furioso di Dani Moreno e Thibau Pinot, lasciandosi infine andare a un pianto liberatorio sul traguardo di Como. Lacrime che raccontano di una stagione difficile e travagliata come poche altre in passato, caratterizzate da un rendimento al di sotto delle attese al Tour de France (dove ha comunque chiuso quinto in classifica generale aggiudicandosi il tappone alpino della Toussuire), con conseguenti attriti con lo stato maggiore del team Astana, rappresentato da Alexandre Vinokourov. Esposto al pubblico ludibrio per non aver saputo difendere al meglio il titolo di vincitore della Grand Boucle 2014, il corridore messinese si è poi presentato alla partenza della Vuelta a Marbella, ma la sua avventura è durata lo spazio di due giorni, a causa dell'espulsione dalla corsa decretata per una grave irregolarità commessa con il concorso di colpa dell'ammiraglia dell'Astana (traino non consentito). 

La successiva squalifica dell'UCI ha però consentito a Nibali di ricaricarsi - mentalmente e atleticamente - per il finale di stagione, dominando il Trittico lombardo (successi alla Coppa Bernocchi e alla Tre Valli Varesine) con in mezzo la prova in linea del Mondiale di Richmond, il cui percorso non eccessivamente duro - per di più adatto a specialisti degli strappi in pavè - lo ha scaraventato lontano dalla lotta per il podio. E' invece di ieri il riscatto definitivo di Nibali (gli anglosassoni parlerebbero di redenzione), confermatosi corridore completo e continuo, a suo agio in salita e in discesa (dote da rimarcare, in particolare nelle grande classiche), cresciuto a cronometro e soprattutto presente sulla scena internazionale da marzo a ottobre. Una volta resosi conto che sarebbe stato difficile staccare in salita i vari Valverde, Pinot, Moreno e Majka, lo Squalo dello Stretto si è inventato un numero d'alta scuola, pennellando le curve della picchiata del Civiglio, aumentando il vantaggio in pianura e gestendosi alla grande sul San Fermo, per poi lasciarsi andare a una gioia rabbiosa sul lungoLario.

Nella vittoria di Nibali c'è però anche molto del lavoro del compagno di squadra Diego Rosa, vincitore giovedì scorso della Milano-Torino, e in crescita esponenziale al suo terzo anno da professionista. Rosa, già splendido gregario di Aru alla Vuelta, ha stoppato con facilità gli scatti avversari, controllando da regista arretrato il finale del Lombardia, con l'abilità e la scaltrezza di un veterano. Con il successo di ieri Nibali rompe quindi il digiuno dell'Italia del ciclismo nelle grandi classiche, ma rimane la sensazione che trattasi di colpo isolato di un grande campione comunque più a suo agio nelle corse a tappe, mentre faticano ad emergere corridori da prove di un giorno (la grande speranza di Richmond Diego Ulissi è sparito al Mondiale appena superati i duecento chilometri di gara). Ma intanto gli appassionati del pedale si godono un trionfo mai tanto atteso, giunto al crepuscolo di una stagione lunghissima, che ha consacrato Fabio Aru tra i grandi del ciclismo internazionale, e che forse potrebbe aver trovato in Diego Rosa un nuovo protagonista.