Per inquadrare che tipo sia Ryan Lochte, basta citare le sue parole: «I tifosi sono uno dei motivi per cui nuoto, voglio sempre regalargli qualcosa. La luce nei loro occhi, quando ricevono la medaglia, e' tutto per me. Le medaglie finiscono nei cassetti come i calzini, mentre per i fans sono un tesoro. Ho deciso di tenere per me soltanto le medaglie olimpiche, le altre le regalo ai miei tifosi per ringraziarli del supporto». I Campioni, quelli con la C maiuscola, sono fatti così, immensi in gara, fuoriclasse fuori. 

La gioia e l'incredulità dei piccoli tifosi al momento di ricevere dalle mani del loro idolo l'inatteso e prezioso dono valgono spesso più delle vittorie stesse. Che pure sono tantissime: 5 ori olimpici (più altre sei medaglie equamente divise fra argento e bronzo), 16 Mondiali - con l'ultima perla aggiunta ieri a Kazan, quarta vittoria nei 200 misti, ormai suo regno inespugnabile - senza contare i trionfi ottenuti in vasca corta, ai Pan Pacifici e ai Pan Americani, né tantomeno i bronzi e gli argenti. Una vera e propria macchina da medaglie, di fatto secondo solo a quell'autentico marziano che risponde al nome di Michael Phelps. Due mondi opposti, quello del Kid di Baltimora e quello del ragazzo venuto da Rochester, Stato di New York, uniti dal filo rosso del dominio nell'acqua clorata.

Più riservato Michael, più estroverso Ryan, protagonista anche di un reality show in America - dal titolo "Cosa dovrebbe fare Ryan Lochte?" - rivelatosi però un flop al punto tale che dopo una sola stagione è stato messo in soffitta. Una piccola macchia - se poi così la si vuol definirie -  nulla in confronto alla popolarità che gode questa autentica rock star delle piscine: nel 2014, quando venne invitato a Genova per il Trofeo Nico Sapio, fu un bagno di folla, con tantissimi fan, spesso e volentieri molto piccoli, ai piedi di Ryan che, more solito, ha ricompensato alcuni fortunati con le medaglie vinte in gara fra le vasche della Sciorba.

Stella indiscussa, si, ma anche l'umiltà del ragazzo della porta accanto. E l'indiscussa capacità di riuscire sempre a prendersi la scena. Con le vittorie, certamente. Ma anche presentandosi ai blocchi di partenza con scarpe da lui stesso pensate e create, spesso e volentieri manifesto del pacchiano. O finendo, suo malgrado, nelle pagine delle cronache sportive per infrtuni al limite del grottesco: dalla fan che lo abbatte saltandogli in braccio, alla caviglia slogata inseguendo il cane, passando per la caduta da un albero giocando a nascondino e i voli in skateborad. Perché il vero fuoriclasse è fatto così, sa sempre e comunque ergersi al centro del palcoscenico e non è mai banale nel modo in cui ciò avviene.