Tutti per lei, tutti per Mikaela Shiffrin, la ragazza di Vail, la fuoriclasse di casa. 13 marzo 1995, per l'anagrafe non ancora vent'anni, alle spalle una serie di successi da far spavento a fior di sciatrici. Mikela ha qualcosa di speciale, non sono solo i risultati a raccontarlo. Si presenta al cancelletto con la convinzione di chi sa di poter vincere, senza avvertire il peso di una pressione palpabile. C'è solo Mikaela, il pubblico sventola bandiere americane, urla, strepita, accompagna la giovane campionessa. La pista non è difficile e questo rende ancor più arduo il compito, perché il minimo errore separa la medaglia dalla sconfitta. E Mikaela non può perdere, non qui. Schizza via dalle porte iniziali, accarezza la delicata zona centrale, sfilando soffice tra i paletti, per poi innestare le frequenze maggiori sul muro. 

Due manche fotocopia, la prima per creare il divario di sicurezza dalle inseguitrici, la seconda per controllare, senza esagerare, se non nel tratto finale, quello più congegnale, quello in cui fare la differenza. Il muro esalta la Shiffrin, che attacca il palo, senza subire le pecche di una neve alterata dalle ventinove discese precedenti. Il cronometro è con lei, 34 centesimi dividono la statunitense dall'ottima Hansdotter. Terza un'altra illustre interprete dei pali stretti, Sarka Strachova. 

I distacchi sono pesanti, come macigni, con la Zettel, quinta, già oltre il secondo. L'Italia precipita, senza attenuanti. Difficile pensare a una medaglia alla vigilia, ma lecito attendersi qualcosa di più soprattutto da Chiara Costazza. La mini-rimonta della seconda discesa non basta per spostare la lancetta su un giudizio favorevole. Chiara è sedicesima, la Brignone diciannovesima. La spedizione italiana a Vail scorre nell'ombra, in attesa dell'ultima prova, lo Speciale maschile. Siamo aggrappati a Razzoli e Gross. 

Gli Stati Uniti, invece, si godono il secondo oro consecutivo, dopo il capolavoro Gigante di Ted Ligety. Si assomigliano Ted e Mikaela per quel modo guascone di interpretare lo sci, per quella ferocia scaricata in pista, per quel talento francamente senza eguali. L'America, "tradita" da Vonn e Miller, si consola con Shiffrin e Ligety, beati loro.