Ora che tutto è ufficialmente registrato agli atti, Lara Gut può finalmente rilassarsi e godersi i frutti della sua stagione trionfale. Sorridente, finalmente libera, con il Coppone in braccio e quella di specialità delSuper G vicino ai piedi. "Fai del tuo meglio ogni giorno... Non sai mai cosa può accadere" come breve ma quanto mai ficcante didascalia.

A venticinque anni ancora da compiere, la bionda di Comano si scopre regina del Mondo. Ha voluto aspettare la fine dei giochi, per festeggiare una Coppa che di fatto è diventata sua il giorno in cui Lindsey Vonn ha alzato bandiera bianca di fronte all'ennesimo inciampo di questa travagliata parte di carriera. Festeggiare a Sankt Mortiz, nella stessa località in cui nel lontano 2008 si affacciò per la prima volta nello sci delle grandi, chiudendo terza in Coppa del Mondo. Un cerchio che trova chisura laddove si aprì. Da quel 2 febbraio di otto anni si cominciò a parlare di lei come di una predestinata, l'atleta perfetta per dominare le stagioni dello sci alpino negli anni a venire.

E non solo a livello sportivo; perchè oltre che su un talento smisurato, quella peperina figlia di papà ticinese e mamma bresciana, poteva contare su un viso da copertina, un sorriso che conquista e una faccia tosta che l'hanno immediatamente resa molto popolare fra addetti ai lavori e tifosi. Eppure, per molti anni, a fronte di grosse promesse, altrettante sono state le occasioni sprecate: tante vittorie e grandi gare, cui però han fatto da contraltare errori ed uscite, al punto che in più di un versante dell'opinione pubblica ha cominciato a insinuarsi il tarlo che Lara fosse la classica bella ma incompleta. Basti citare ad esempio la stagione 2013/2014: sette vittorie e nove podi, fra cui il bronzo olimpico in discesa libera, ma la Coppa del Mondo generale volata in altre mani.

E nemmeno la conquista della tanto agognata "coppona" ha placato le discussioni attorno alla Gut. Perché per quanto i numeri - che analizzermo poi - siano ampiamente dalla sua parte, da qualche parte non ha potuto esimersi dall'alzarsi la voce di chi ha visto nella mancanza di avversarie di rango il fattore determinante del suo trionfo. Vero, ci sono elementi che è impossibile trascurare: il crac di Anna Fenninger alla vigilia di Sölden, quelli successivi di Mikaela Shiffrin e Lindsey Vonn, l'anno sabbatico di Tina Maze. Insomma, qualcuno ha mugugnato "brava si ma chiunque senza avversarie di quello spessore sarebbe stato in grado di portare a casa il bottino".

Ma si sa, e non c'è di certo bisogno di scomodare il Machiavelli, che la fortuna è elemento imprescindibile di ogni grande condottiero, così come di ogni grande campione: che sulle porte aperte dalla buona sorte, costruisce il proprio trionfo attingendo a piene mani al proprio talento. Nel caso di Lara Gut, un serbatoio decisamente capiente. Motivo per cui sarebbe davvero riduttivo, se non irrispettoso nei suoi confronti, ricondurre tutto al mero favortismo degli dei dello sci verso la bella svizzera.

A parlare per lei, infatti, sono le sei vittorie e i tredici podi complessivi racimolati in stagione, ma anche tanti piazzamenti importanti in top ten: elementi che hanno contribuito a creare il bottino finale di 1525 punti. Non va poi dimenticato un secondo fattore: vero che lo stop anticipato della Vonn le ha di fatto spianato la strada verso il successo finale, ma è altrettanto vero che al momento in cui Lindsey ha alzato bandiera bianca, il divario fra le due era di soli 28 punti a favore dell'americana. Il che significa, tradotto in soldoni, che anche quando la fuoriclasse del Colorado faceva man bassa di vittorie (nove per lei in una stagione che l'ha vista abbattere record su record), la ticinese era lì nella sua scia.

Rimane, quello sì, il rammarico per non aver assistito a un duello che si preannunciava incandescente e che senza dubbio si sarebbe trascinato fino alle ultime gare. Un duello in cui non sono mancati piccati botta e risposta e uscite forse evitabili: naturale il riferimento alla "teatralità" di Lindsey Vonn insinuata dalla ticinese dopo la caduta dell'americana a Soldeu. Buffa cosa, lei che attrice lo è stata per davvero, nel film "Tutti giù"! E uscita decisamente da evitare, dato che poi l'infortunio dell'americana si è rivelato serio e reale. Un piccolo autogol dettato anche dalla tensione del momento, con un duello molto tirato all'apice della sua intensità, ma anche foto perfetta di che tipo sia Lara Gut.

Del resto l'avevamo detto. Carattere e faccia tosta non han mai fatto difetto alla biondina di Comano, che non ha mai mancato di esternare senza filtro o faccia di circostanza i suoi sentimenti, fossero la gioia per la vittoria o la delusione cocente per una sconfitta. Basta fare un flash back alla discesa libera olimpica di Sochi per averne un saggio, un bronzo mai digerito del tutto nel giorno di gloria di Tina Maze e Dominique Gisin, il brutto anatroccolo diventato improvvisamente cigno nel giorno più importante. Spigolature di un carattere competitivo, che spesso l'hanno portata a contrasti anche con l'opinione pubblica elevetica che si divide senza mezze misura fra chi la ama e chi la detesta. Lara è così, prendere o lasciare, anche nelle uscite fuori tempo e fuori luogo. Il  caratterino pepato fa parte del bagaglio di una campionessa che si rispetti, non è il primo esempio né sarà l'ultimo.

A ottobre si riparte, nuova stagione, nuova avventura. E nuove sfide da affrontare. Le avversarie han voglia di riscatto dopo le sfortune di questa stagione, Tina Maze continua a mantenere il più assoluto riserbo sul suo futuro ma chissà che non covi la voglia di un calmoroso ritorno; mentre l'Italia si trova fra le mani una Federica Brignone da combattimento, che si è scoperta competitiva su più fronti. Ma per questo ci sarà tempo, adesso c'è una Coppa di cristallo purissimo da godersi. Se fai del tuo meglio ogni giorno, può succedere anche questo. Well done, Lara