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Pau Gasol

Il catalano è il protagonista assoluto della rassegna continentale. La Spagna si affida a Pau, l'oro è a un passo.

Pau Gasol
Pau Gasol
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Di Johnathan Scaffardi

5 minuti Pau”. Scariolo osserva preoccupato lo scorrere delle lancette e allo scoccare dell'ora fatidica richiama il lungo dei Bulls. Lo staff medico consiglia il Ct, importante non affaticare il fisico provato del ragazzo di Barcellona. 35 anni, una vita cestistica sulle spalle. Scariolo chiama Pau, Pau si volta e tranquillizza. “Gioco”. Il nuovo Europeo della Spagna inizia a Lille, ottavi di finale, di fronte la Polonia di Gortat. Le furie rosse annaspano per ¾, costrette a inseguire un'adeguata condizione, aggrappate al talento smisurato del fenomeno di Catalogna.

Pau dice 30 e la Spagna scappa nel quarto periodo, allontana incubi ricorrenti nelle notti di Berlino. Il toro che mata la Spagna ha sembianze serbe prima e azzurre poi, Teodosic e Gallinari, puristi del gioco pronti a mettere in scacco un gruppo sedato da successi e assenze. Di misura sulla Germania, il cuore che batte veloce, la paura che accompagna minuti interminabili. A Lille, è un'altra pagina di basket, si gioca per il titolo, dentro-fuori, una sentenza ogni 40 minuti.

Non c'è Marc, la Spagna vive di un'unica torre, manca il carisma di Navarro, si cerca ovunque la scintilla di Rubio. Scariolo conta i suoi effettivi e scopre un Rudi Fernandez compassato, boccheggiante. La schiena lancia messaggi frequenti, fitte dolorose, Rudi mette sul piatto la sua storia, intimidisce, parte, si ferma, è un andirivieni continuo, tra campo e panchina. E allora c'è Pau, sempre. Fuori la Polonia, il quarto nobile avvicina Grecia e Spagna, è il tramonto iberico. La perfetta Grecia non ha paura, è un mix sublime di vecchi artisti, Spanoulis e Zisis, e nuovi diamanti, Antetokounmpo. 73-71 Spagna, 27 e 9 di Pau Gasol. Si arriva tra le prime quattro d'Europa, e in sostanza la storia ripropone il duello più bello del vecchio continente.

La miglior Francia di sempre dice Parker, 26.922 presenti, un ondeggiare continuo di bandierine d'oltralpe, un ululato che insegue la Spagna, una cornice da brividi. Pau entra in campo e guida i compagni, manda il sergente Llull sulle tracce di Parker, chiede aiuto a Sergio Rodriguez, osserva l'infinito Gobert. La sfida pone Pau di fronte ai mostruosi tentacoli dell'ultimo prodotto francese. Gobert è infinito, ha un'apertura senza eguali, a cui associa una rapidità mostruosa. Come può il vecchio Pau dominare per 40 e oltre minuti contro un lungo di questa specie? Può. Perché il basket è altro.

La Spagna ha testa e gambe per stare lì, quando la Francia trova la scarica iniziale di De Colo e i virtuosismi di Gelabale, Gasol va a centro-area, muove il perno, porta a scuola in post-basso la Francia, poi si alza e dirige, dipinge e crea, dalla linea del tiro libero. É la Spagna, semplicemente. Ogni azione d'attacco trova linfa dal catalano, che nel secondo quarto si siede, con i suoi a contatto. Quando la Francia piazza l'attesa scarica nel terzo, la partita sembra seguire attesi binari.

Il quarto periodo segna il ritorno di Pau, è il momento che divide i campionissimi dai buoni giocatori. Sui due lati del campo, un professore. Lotta a rimbalzo, apre l'azione, rifinisce, si mette in visione e i compagni, trascinati dall'impeto del leader, accettano la lotta. Diventa una corrida in cui Spagna e Francia si scagliano montanti di enorme forza, solo uno sembra elevarsi sopra gli altri. Il principe del parquet è catalano.

Un movimento vorticoso di uomini e idee, un confuso pensiero che corre sul campo, quando il tramonto divide vinti e vincitori, tutti affannosamente inseguono la palla a spicchi, Pau percorre il campo con grazia neoclassica, è un dio, il dio del basket, che schiaccia nel canestro i sogni di un popolo. Un re riporta la quiete nel tempestoso mare di Francia.

40, con un supplementare che cancella il coniglio di Batum, che spegne il presente pubblico di Lille. 40, con 11 rimbalzi, una presenza devastante, unica. Pau Gasol.