E così sono passati i primi due mesi di Regular Season. Sono state come al solito otto settimane intensissime, che hanno visto affermarsi nel panorama NBA nuove realtà, come quella dei Portland Trail Blazers, mentre alcune pretendenti al titolo sono sprofondate nei bassifondi della classifica, come le due squadre di New York, oltre ai Chicago Bulls dell’infortunato Derrick Rose. Nel marasma dei cambiamenti, qualche certezza: ai Miami Heat basta difendere come sanno e, senza alzare troppo i ritmi, possono arrivare freschi ai Playoff.

I San Antonio Spurs sono una vera e propria macchina da guerra, collaudata e senza età. Chissà se quest’anno riusciranno a riproporsi come seria pretendente al titolo primeggiando in una Western Conference oggi più che mai di livello altissimo. L’East Coast è invece persa nella mediocrità generale, con solo tre squadre che hanno un record vincente. Oltre ai già citati Miami Heat, solo gli Atlanta Hawks e gli Indiana Pacers. Questi ultimi hanno sorpreso tutti con una partenza pazzesca, 9 successi consecutivi e una solidità difensiva che è il vero marchio di fabbrica di coach Frank Vogel.

A - di Andrew Wiggins. Andiamo dritti al punto: questa stagione NBA altro non è che un (gustoso) antipasto di quello che accadrà da giugno in poi. Quello che si prospetta essere il Draft con più talento dai tempi di LeBron James e Carmelo Anthony, è il motivo per cui mezza Lega sta attuando la politica del “tanking”, ovvero del giocare a perdere.

Andrew Wiggins è da anni considerato un predestinato, c’è chi addirittura lo paragona a Lebron James e ci sono pochi dubbi sul fatto che sarà lui la prima chiamata del Draft.

Certo è che nella NCAA di quest’anno non c’è solo lui: Jabari Parker, di Duke, e Julius Randle, di Kentucky, sono altri due giocatori osservati come possibili prime scelte. Di Parker si parla un gran bene, sprecando paragoni addirittura con Kevin Durant.

Oltre al Draft però, ci sarà anche il mercato dei Costless Agents: un nome su tutti? Lebron James, oltre a Carmelo Anthony. E’ previsto un terremoto nella Lega, anche perché dalla prossima stagione entreranno in vigore le nuove regole per il Salary Cup. Non ci resta che aspettare.

B - di Marco Belinelli, ovvero il secondo miglior tiratore da tre dell’intera NBA. Questo dicono i numeri, con il Beli che tira con il 48,1% dal perimetro, dietro solo a Kyle Korver.

Un anno magico per l’ex Chicago Bulls, che si è ritrovato alla corte di Popovich con l’ambizione di vincere finalmente un titolo NBA.

Marco si è integrato benissimo nel sistema, e coach Pop ha ripagato la sua abnegazione con tanti minuti e molta fiducia. Nell’impostazione del gioco la palla passa anche dalle sue mani, quando non è in movimento per cercare di smarcarsi per una tripla.

L’anno a Chicago è servito, ha cambiato mentalità al giocatore di San Giovanni Persiceto.

Giocare con Duncan, Ginobili e Parker poi si può considerare un discreto allenamento, oltre che un banco di prova.

Gli Spurs, dal canto loro, macinano vittorie su vittorie e sembrano inarrestabili grazie al loro collaudatissimo sistema. Possono contare anche su Kawhi Leonard, rivelazione delle scorse Finals e che quest’anno ha visto fino ad ora calare un po’ il minutaggio per lasciar spazio ai nuovi arrivati, affinché si integrino al meglio per quando ogni pallone inizierà a contare come un macigno.

L’età passa e logora chiunque, ma forse Duncan e soci hanno trovato il vero elisir della giovinezza: divertirsi. Così anche un altro possibile approdo alle Finals non è così utopistico, perché c’è ancora una gara 6 da vendicare.

C - di Cleveland Cavaliers. Inutile nasconderlo, a inizio anno l’avevamo data come possibile sorpresa a East ma i risultati ci hanno sbugiardato clamorosamente. Kyrie Irving predica nel deserto, con i compagni che ancora non riescono a fare il salto di qualità. L’atmosfera poi, a quanto si legge, non è delle migliori: lo spogliatoio è una polveriera, con continui scontri tra i giocatori, e ultima ma non per importanza la notizia di Andrew Bynum sospeso da qualsiasi attività con la squadra (voci di corridoio, non confermate, vogliono il centro due volte campione NBA trovato in compagnia della moglie di un assistente di coach Mike Brown).

I dirigenti dei Cavs si stanno adoperando per smuovere un po’ il mercato, proponendo il centro arrivato in estate alla sua ex squadra, i Lakers. Esiste un’altra opzione in cui sarebbero coinvolti invece i Chicago Bulls, con una trade tra Bynum e Loul Deng.

Resta il fatto che i Cavaliers stanno sprofondando nei loro problemi, non riuscendo a valorizzare quei giocatori come Waiters e che, se continueranno questo percorso di auto distruzione, non solo perderanno la possibilità di convincere Lebron James a tornare nell’Ohio, ma probabilmente si vedranno sfuggire il talento di Irving, che vorrà approdare in franchigie più blasonate e vincenti.

D - di Kevin Durant. Oklahoma City, stagione 2013/14: zero mercato, no Russell Westbrook, tanti giovani ma pochi leader. E che problema c’è, per KD?

Una stagione da trascinatore assoluto, con o senza Westbrook. Stiamo parlando del capocannoniere della Lega, con 28.8 punti di media a partita, e una capacità di tirare o di arrivare al ferro straordinaria, come se la palla fosse gonfiata con l’elio. Con il ritorno di Westbrook (tanto inaspettato quanto sorprendente) le cose sono iniziate a girare ancora meglio, e la squadra sembrava proiettata verso una grande stagione. Ora il nuovo infortunio occorso al playmaker ha messo un po’ di paura ai tifosi dei Thunder, visto che RW0 non si vedrà in campo prima dell’All Star Game.

OKC può però contare su giocatori come Serge Ibaka, che anno dopo anno stanno continuando il loro percorso di crescita. Reggie Jackson e Jeremy Lamb sono poi il nuovo che avanza, i prodotti fatti in casa che portano punti ed energia dalla panchina.

Per avere certezze del titolo l’unica cosa da fare, sinceramente, è chiamare in sede a Oklahoma e chiedere informazioni a Westbrook, ma con un KD come si fa a non sognare in grande?

E - di Efficiency, ovvero la percentuale di impatto che ha un giocatore sulla sua squadra. Indovinate chi occupa le prime due posizioni? Esatto, LeBron James e Kevin Durant. Al terzo posto Kevin Love, vera macchina da punti e rimbalzi (se solo mettesse a posto la difesa e non si infortunasse sempre, altro che Minnesota) al quarto Chris Paul e al quinto... rullo di tamburi.. DeMarcus Cousins, di cui però parleremo più avanti.

F - di Costless Gigi! Lo sbarco di Datome in NBA è stato, come è normale, difficile. Le prime panchine, poco spazio in rotazione e un fisico tutto da rimodellare per i parametri NBA.

Certo è che coach Cheeks sta proprio centellinando l’ex Virtus Roma, quando magari ai suoi Pistons servirebbe proprio un giocatore che riesca ad allargare il campo, visto che il pitturato è intasato dalla presenza di due lunghi come Andre Drummond e Greg Monroe.

Detroit vive per ora di alti e bassi, con partite brutte ma anche esaltanti, come quando sono riusciti a espugnare per la prima volta la Bankers Life Fieldhouse dei Pacers, fino ad allora imbattuta.

Datome quando è stato chiamato in causa, di solito nei momenti di Garbage Time, ha sempre risposto presente. Per ora i suoi numeri sono di 148 minuti, 58 punti e un complessivo 19/39 da due e 6/31 da tre.

Che arrivino tempi migliori per il nostro Gigi con l’anno nuovo?

G - di Danilo Gallinari. Ah, il Gallo. Come sta? Quando ritorna? Per Denver è stato proprio un terribile colpo perdere Danilo proprio prima dei playoff, la scorsa stagione. Quest’anno, quando rientrerà, avrà in mano le chiavi della squadra: insieme a Ty Lawson sarà lui l’uomo franchigia, che dovrà cambiare le sorti una squadra che per ora naviga a vista senza troppe pretese dalla stagione. Dopo il cambio radicale in panchina e in dirigenza (con la partenza di George Karl e di Masai Ujiri) e l’addio di Andre Igoudala, la squadra si è trovata con una quantità eccessiva di lunghi in squadra che ora si devono dividere spazio e minuti senza però il gioco di corsa di coach Karl.

Nate Robinson non è stato finora determinante come nella passata stagione con i Bulls, quindi dopo un avvio normale la squadra ha toccato picchi vertiginosamente bassi, complice anche l’infortunio del centro titolare Javale McGee.

Gallinari al suo ritorno dovrà vedersela con nuove responsabilità e un nuovo sistema di gioco, il che vuol dire che per vederlo integrato al 100% negli schemi di Brian Shaw ci vorrà un po’ di tempo. L’importante sarà vederlo tornare in campo con le sue gambe, senza avere ricadute, come nei casi di Rose, Bryant e Westbrook.

Forza Gallo, qui dall’Italia tifiamo per te!

H - di Miami Heat. Stiamo parlando della squadra più accreditata per vincere il titolo e compiere il three-peat, che finora è riuscito solo ai Boston Celtics di Bill Russell, ai Chicago Bulls di Michael Jordan e ai Lakers di Shaq e Kobe. D’altronde quando si ha un Lebron James capace di segnare 25,2 punti di media senza praticamente impregnare di sudore la maglietta diventa tutto più facile. Ma è tutta la macchina innestata da coach Spoelstra a funzionare perfettamente, con la difesa arcigna che permette di restare in partita anche quando il pallone non vuole proprio saperne di entrare nel cesto, e questo è fondamentale. E’ probabilmente l’ultimo anno dei Big Three, visto che dall’anno prossimo qualcuno dovrà lasciare South Beach per motivi di luxury tax. Che si vogliano fare il regalino d’addio?

I - di Indiana Pacers. Il predicatore Frank Vogel ha completato l’opera. Quando l’anno scorso il coach di Indiana spronava i suoi in gara-7 della finale di Eastern Conference contro Miami dicendo “Noi possiamo batterli, credeteci”, ci credeva per davvero. Un’estate e due mesi dopo, ci troviamo davanti una grande squadra che ha trovato in Paul George il leader, e in Lance Stephenson la variabile impazzita, capace di rivoltare la partita come se fosse un calzino.

Nel mezzo, tanta tanta difesa e ottimi giocatori come David West o Roy Hibbert, che sta continuando il suo processo di maturazione. Unica pecca è il playmaking, con la costruzione di gioco che è ancora troppo macchinosa e che si affida troppe volte alle fiammate dei singoli, oltre alla panchina che non riesce a dare tutto quel contributo che si sperava, con il solo Scola che si è mantenuto all’altezza delle aspettative.

L’obiettivo quest’anno sono come minimo le finali di Conference, dove molto probabilmente i Pacers dovranno fronteggiare ancora gli Heat.

Dopo aver portato i due volte campioni NBA a gara7 l’anno scorso, quest’anno George e compagni vogliono alzare ancora di più l’asticella, provando a far piovere su South Beach.

Hanno tutto per provarci.

K- di Kyle Korver. Il nuovo recordman di partite consecutive con una tripla a segno, 101 partite a oggi. Il merito è senza dubbio del cecchino ex Chicago Bulls, ma anche di un sistema che permette a una squadra modesta di confermarsi ogni anno a un livello accettabile grazie al grande gioco del gruppo.

La squadra di Mike Budenholzer è prima nella Lega per media assist a partita (25,8) e quinta nelle percentuali di canestri realizzati (46%) dal campo, si distingue dalla mediocrità generale della Eastern Conference grazie a uno dei soli 3 record vincenti della costa orientale. In questo grande gruppo spiccano, oltre a Korver, anche Paul Millsap, Al Horford (che nelle ultime sei partite ha tirato con il 65% dal campo per 23,2 punti di media) e Jeff Teague, che sta giocando una stagione da 17 punti e 8,3 rimbalzi a partita.

L - di Damian Lillard. Lui quest’estate l’aveva detto: “Lavoro per diventare il più forte di sempre”. Alzi la mano chi sarebbe aspettato una maturazione così veloce da parte di un ragazzo di vent’anni. In pochi avrebbero scommesso qualcosa su Lillard e, più in generale, sui Portland Trail Blazers, anche perché l’inizio di stagione è stato tutt’altro che esaltante, con i giocatori che si infortunava a ripetizione.

Eppure, una volta trovata la quadratura del cerchio, con Lillard al timone anche il resto della squadra si è evoluta. LaMarcus Aldridge è diventato un giocatore fondamentale, con 23,5 punti e 10,8 rimbalzi di media, e anche i vari Matthews e Batum si stanno comportando egregiamente, ma non ce ne vogliano se diamo la palma di migliore a questo ragazzo classe 1990 che sta conquistando l’intero mondo NBA con le sue giocate a fil di sirena e un carattere Jordaneggiante, della serie “voglio tutto e subito”.

Stiamo parlando di un ragazzo che negli ultimi 5 minuti di partita tira con il 52% dal campo e che ci ha deliziato con canestri sulla sirena da spellarsi le mani per gli applausi.

Con la miglior media punti segnati (110,4) l’unica cosa che separa la Rip City da una concreta possibilità di vincere il titolo è la difesa, con gli ingranaggi del sistema di coach Terry Stotts che devono ancora essere ben oliati. Per ora ci si può consolare con il secondo record dell’Intera Lega.

M - di Magliette. L’argomento è terribilmente serio, si sono mobilitate le più grandi menti per discutere del problema.

Perché bisogna rovinare il mito della jersey NBA con quell’abominevole casacca a mezza manica?

Siamo in una Lega di pallacanestro o al Tour de France o in Serie A?

Il marketing è un diritto sacrosanto di ogni associazione che voglia evolversi e durare nel tempo, ma ci sono dei tratti immortali che distinguono uno sport dall’altro. La pallacanestro vive nei ricordi delle migliaia di canotte indossate da ragazzi di ogni età nel mondo.

Oltre a questo fattore prettamente emotivo, c’è anche il disturbo che possono provocare ai giocatori: LBJ, poco prima della partita di Natale, aveva detto che i tiratori degli Heat si stavano preoccupando per come le maniche avrebbero potuto alienare i propri movimenti.

Nella prima partita della nottata del 25 Dicembre, Roma-Juventus, Mike Dunleavy ha tirato parecchie volte corto dall’arco, per poi arrotolarsi le maniche. Ah come dite, non era Roma-Juve ma Chicago Bulls-Brooklyn Nets? Eh, io ve l’avevo detto che queste magliette mi avrebbero confuso...

N - di Brooklyn Nets. Pensate a un aggettivo molto, ma molto, negativo. Disastroso? Inguardabile? Pescate voi dal mazzo, il problema rimarrà sempre molto evidente: questi Nets non riescono ad andare da nessuna parte. A nulla sono valsi i milioni di Prochorov che sta investendo decine di migliaia di dollari nella franchigia di Brooklyn, che si è impantanata nei limiti d’età, di costruzione di gioco e di inesperienza dell’head coach perdendo completamente il bandolo della matassa.

Questo perché? Perché Paul Pierce e Kevin Garnett hanno perso quelle caratteristiche che li avevano resi dominanti ai Celtics, vuoi per l’età vuoi per un normale logorio fisico dovuto all’alto chilometraggio. Pierce in questo ultimo periodo, partendo dalla panchina, si è reso protagonista di percentuali orribili al tiro, con sprofondi di anche 1/8 a partita.

Garnett, oltre al dominio a rimbalzo, ha perso anche quella capacità di segnare dai 6 metri con il jumper, che nelle precedenti stagioni lo rendeva una buona macchina da punti.

Aggiungiamo al mix anche l’infortunio di Brook Lopez, la cui stagione è già finita, oltre ai consueti problemi di Deron Williams che lo tengono fuori dal campo una partita sì e una no, e abbiamo il quadro di una stagione partita come trionfale ma che per ora di riscontri positivi ne sta trovando ben pochi. Verrebbe quasi da dire a coach Kidd di tankare, a questo punto. Il problema è che la prossima scelta al Draft è targata 2020.

A questo punto probabilmente si arriverà a fine stagione e poi si vedrà cosa fare, anche perché se la dirigenza avesse voluto silurare coach Kidd l’avrebbe già potuto fare, ma così nn è stato.

Il magnate russo non deve essere così entusiasta di pagare 100 milioni di stipendi e luxury tax per poi avere lo stesso record di Conference di Orlando e Cleveland.

O - di OUT. Capitolo infortuni, che ora come ora sono pure più frustranti di vedere i giocatori con quelle orrende magliette. Rose, Bryant, Rondo, Westbrook, ora anche Irving. Lo sterminio delle point guard. A cosa è dovuto questo?

Kobe Bryant rappresenta un capitolo a parte, per quello che ha fatto e per come ha usato il suo fisico in questo anno. Ma è innegabile che in questi anni c’è stato un incremento spaventoso di infortuni più o meno gravi nel corso della stagione NBA che sta distruggendo le stagioni di diverse squadre (per esempio i Chicago Bulls, di cui sotto).

A cosa è dovuto questo fattore? Alle troppe partite? Probabilmente sì. 82 gare in sei mesi è qualcosa di esagerato. Ridurre la Regular Season o stendere il calendario su più mesi, iniziando la stagione prima?

Si potrebbe fare, ma qui entrano in ballo tutti quei discorsi con le altre leghe di sport americane, come il baseball o l’hockey o il football.

Certo è che così non si può andare avanti, a perdere sempre pezzi per strada.

P - di Chris Paul. Che sta studiando per far compiere alla squadra il definitivo salto di qualità per competere anche ai Playoffs. I Clippers di quest’anno sono molto più solidi delle precedenti versioni, anche perché Doc Rivers sta martellando i suoi con i diktat difensivi. Dato ormai per assodato che Lob City non morirà mai (“Puoi togliere DeAndre Jordan da Lob City, ma non Lob City da DeAndre Jordan”), ci sono partite in cui i Clips tirano fuori un grande carattere e una buona chimica di squadra. Ci si aspetta sempre qualcosa in più da Blake Griffin, che è alla prova di maturità per dimostrare di non essere buono solo per l’All Star Saturday, e l’ala sta rispondendo bene agli stimoli. Per ora la sensazione è che in Regular Season i Clippers se la possano giocare con le prime della Western Conference, ma che ai Playoffs incontrerà sicuramente qualche difficoltà.

Paul vuole vincere subito, e l’ha dimostrato iniziando a prendersi quei tiri che di solito trasformava in assist per coinvolgere tutti nel gioco, segno che le chiacchierate con Rivers su cosa voglia dire essere leader stanno servendo a qualcosa.

L’aver battuto il record di doppie doppie consecutive appartenente a Magic Johnson

Q - di Qual è il problema dei Knicks? La difesa. L’allenatore. Carmelo Anthony. Andrea Bargnani. L’organizzazione di squadra. Stoudemire. Ecco quali sono le risposte più gettonate quando si parla dell’avaro momento di New York. La verità sta sempre nel mezzo e in questo caso coinvolge tutti. La squadra non gira, e la colpa è da dividere in tutto l’ambiente Knicks. In primis alla dirigenza, capace di assemblare una squadra assolutamente scriteriata, senza peculiarità difensive che senza il trentello di Anthony ha tantissime difficoltà a non affondare contro chiunque per le incertezze nella propria metà campo.

Poi i giocatori, che sembrano giocare senza quel fuoco negli occhi che invece dovrebbe avvampare gli animi di chi a inizio campionato era considerato una contender e ora si sta facendo surclassare da qualsiasi squadra. A volte i giocatori sembrano proprio svogliati, incapaci di compiere la più semplice delle rotazioni difensive.

Anche volendo dare una scossa con una trade importante, la situazione è impraticabile. Quali sono i giocatori che si possono scambiare nel roster dei Knicks? Due, Iman Shumpert e Tim Hardaway JR, gli unici che hanno mercato, ma anche gli unici su cui la dirigenza voleva puntare. Coach Woodson è stato più volte sulla graticola, ma alla fine si è sempre salvato.

Anche qui vale lo stesso discorso dei Nets per quanto riguarda il tanking: la prossima scelta è targata 2018. Inutile quindi peggiorare ancora uno scenario ormai compromesso con trade “alla Anthony” che minerebbero il futuro della squadra (come è successo ora, con tutte le possibili scelte al draft cedute ai Nuggets e il mercato bloccato da contratti pesanti).

Un 2014 all’avventura per i Knicks, che si dovranno barcamenare tra le intemperie fino ad Aprile, quando verosimilmente la loro stagione finirà e, a bocce ferme, si potrà ragionare sul da farsi.

R - di Derrick Rose. La frittata è fatta. Con Rose ai box, i Chicago Bulls hanno salutato a Novembre ogni possibile speranza di titolo. L’MVP della stagione 2010/11 è stato però categorico nell’affermare che “I’m not done”, non sono finito.

Rose tornerà la prossima stagione, ma ormai sarà una vera e propria incognita. Dopo due stagioni consecutive fuori e due infortuni alle ginocchia, cosa ci si può aspettare da un giocatore che viveva di esplosività?

Taj Gibson ha tentato di rincuorare il compagno di squadra scrivendo che “Dio dà le missioni più difficili solo ai soldati più valorosi”, e qui ci troviamo di fronte davvero a un’impresa, se davvero Rose tornasse in campo pronto a giocare di nuovo.

Intanto i Bulls stanno naufragando con un orribile 12-18 come record e un gruppo che, nonostante non molli mai di un centimetro, si vede preso a pallate da molte squadre NBA.

La rosa era costruita per fare da supporting cast a Rose, i vari Noah e Boozer non riescono a caricarsi la squadra sulle spalle. Al contrario dell’anno scorso mancano Robinson e Belinelli, due tiratori con personalità che hanno salvato più volte Chicago nel corso dell’ultima stagione. Quest’anno Dunleavy non sta rendendo come sperato, e i continui infortuni stanno limitando i giocatori migliori, come Loul Deng o Jimmy Butler.

Thibodeau non vuole sentir parlare di tanking, ma siamo sicuri che se la stagione non dovesse migliorare, Thibs non si ricreda? D’altronde dall’ultima chiamata alta al draft è arrivato proprio Rose, chissà che non si riesca a replicare l’impresa.

Ora a Chicago serve un giocatore su cui costruire, aspettando Rose. Che possa essere Jimmy Butler quello a cui affidare la squadra? O arriverà una trade, o una grande firma quest’estate lasciando partire Deng e amnistiando Boozer?

Gli scenari sono tanti, la realtà una, e pure molto triste: il più giovane MVP della storia costretto ai box e le speranze di titolo rilegate in soffitto, almeno per un altro anno.

Il 2014 sarà però un anno ricco di sorprese, e si sa che in America nulla è finito finché non canta la cicciona.

S - di Swaggy P. Lo confesso, ho un debole per lui, Swaggy P, al secolo Nick Young, giocatore in forza ai Los Angeles Lakers. La sua è una storia particolare, che ci dà modo di analizzare meglio la situazione della franchigia losangelina. Il giovane Nick, nato e cresciuto a LA, è uno dei pochi giocatori sicuri di un contratto l’anno prossimo. Con lui Kobe Bryant, fresco di rinnovo, Steve Nash (in odore di ritiro) e Robert Sacre.

Con il mega contratto di Bryant, quest’estate i Lakers avranno l’occasione di poter firmare un solo grande Costless Agent. E’ vero che la storia della franchigia e l’aura mediatica che circonda la squadra è qualcosa di irripetibile, ma c’è il serio pericolo che (dando per persa questa stagione) anche la prossima sia dello stesso stampo. L’addio di Pau Gasol è ormai certo, i Lakers lo scambierebbero anche con la sorella di Mike Brown ora come ora, ma lo spazio salariale rimarrebbe comunque striminzito per poter affiancare una squadra di livello al Mamba (se e come tornerà da quest’infortunio) e al possibile nuovo grande arrivo (Carmelo Anthony?).

In tutto questo Nick Young, un uomo in missione. Un ragazzo che ha fatto dello Swag (la capacità, come la definisce lui, “di essere stilosi”) uno stile imprescindibile di vita, e che ha un modo tutto suo di vivere il basket, che è gioia. Il suo jumpshot, o il fatto che si cambia le scarpe all’intervallo se non riesce a segnare, o ancora i suoi momenti “on fire” che neanche in NBA JAM erano così esaltanti sono un motivo per cui quando entra la second unit dei Lakers un sorriso non può che scappare.

La perdita del fratello e il ritorno a Los Angeles dalla porta principale, lo Staples Center. Gioie e dolori di un ragazzo di sicuro mai banale.

T - di Texas, terra di progetti missilistici. Chi studia per stare “in alto” sono gli Houston Rockets di James Harden e Dwight Howard, che hanno come obiettivo quello di diventare una vera e propria contender nel giro di pochissimo tempo. “Per vincere in NBA bisogna avere almeno uno dei migliori 15 giocatori della Lega. Noi ne abbiamo addirittura due, mentre Parson e Lin studiano per diventare importanti”, così il GM di Houston Daryl Morey parla della creatura che è nata in queste ultime due stagioni, con la firma di Harden prima e di Howard poi. Ecco, c’è da spendere un minuto su quest’ultimo. Dopo il Dwightmare di Orlando e il Coward di Los Angeles, il ragazzo sembra davvero divertirsi a Houston. Ha trovato la sua dimensione, pur rinunciando a una barca di soldi che avrebbe potuto trovare rimanendo ai Lakers. Sa che dopo le liti con gli allenatori, la promessa non mantenuta di rimanere ai Magic e quella che è considerata come una fuga da LA, questa è la sua ultima chiamata per riconquistare consensi. Howard ha iniziato forte e si sta integrando sempre meglio anche con Harden. Per ora i suoi numeri sono incoraggianti, 17.9 punti e 13,1 rimbalzi di media a partita, ma la sensazione è che possa crescere ancora.

U - di Masai Ujiri, che è entrato a piedi uniti su tutta la struttura dei Toronto Raptors, smontandola e cominciando un nuovo corso.

Il GM dell’anno 2013 è arrivato in Canada e si è liberato dei pesantissimi contratti di Bargnani e Gay, ritenuti inadatti al nuovo progetto sfoltendo il monte ingaggi e preparando la risalita per la franchigia che è ora nelle mani di Kyle Lowry che, sentita la responsabilità dopo la partenza di Rudy Gay, si è caricato sulle spalle la squadra.

La verità però è che nessun giocatore è incedibile, perché il rebuilding dev’essere totale, anche se la squadra si sta dimenando bene in questo mare d’incertezze, come testimoniano le 8 vittorie nelle ultime 11 partite.

Il primo regalo da questo 2014 però Ujiri lo vorrebbe dal Draft di Giugno, e ha un nome che probabilmente ho già accennato: Andrew Wiggins. Il giocatore di Kansas University, canadese come la franchigia, ha dichiarato che vorrebbe essere scelto proprio dai Raptors. E se i sogni son desideri...

V - di Vivek Ranadive alias il Salvatore dei Kings a Sacramento. Dopo lo spauracchio dei tifosi di vedere la squadra trasferita a Seattle, oggi i Kings stanno costruendo una squadra giovane con parecchie teste calde. Un nome a caso? DeMarcus Cousins.

Il progetto del magnate indiano però va considerato ad ampio raggio, contemplando anche la costruzione della nuova arena per la squadra, nonché una serie di iniziative volte a promuovere il marchio dei Kings nel mercato asiatico, là dove il buon vecchio David Stern aveva già adocchiato una possibile espansione economica.

Per ora la squadra è un’insieme di giocatori divertenti come il già citato DMC, che però pecca ancora in difesa e nella costanza di prestazioni. Su questo però Cousins è a lavoro con il nuovo coaching staff, che sta tentando di migliorare la difesa e la testa del giocatore.

Ben Mclemore, Rudy Gay, Isaiah Thomas sono altri buoni giocatori che coach Michael Malone dovrà plasmare per costruire una realtà divertente ed entusiasmante per i tifosi, che con la nuova gestione hanno ritrovato quell’entusiasmo che si era un po’ consumato nel tempo.

Avere una stagione con un record positivo è ancora utopistico, ma chissà che al Draft non esca qualche pallina vincente.

Z - di Z-Bo, e la parabola discendente dei Memphis Grizzlies. Sì perché nonostante l’ennesima stagione in doppia doppia di Zach Randolph, i Grizzlies sono sprofondati nei bassifondi della Western Conference. Quali sono i problemi di una squadra che l’anno scorso era arrivata alle finali di Conference?

Innanzitutto il cambio di allenatore, con coach Dave Joerger che non è riuscito a dare la stessa impronta difensiva alla squadra, che sbanca clamorosamente nella propria metà campo, concedendo il 46% in media dal campo agli avversari e il 50% nel pitturato.

Altro fattore determinante sono stati gli infortuni, che hanno fatto uscire di scena prima Marc Gasol (un mese fa, ne avrà ancora per due-tre settimane) e poi Quincy Pondexter, uno dei migliori sulla panchina dei Grizzlies.

Così, senza le giocate al gomito di Gasol, Memphis si deve affidare a Z-Bo, a Tony Allen o a Mike Conley, unico che riesce con le sue penetrazioni a dare un tocco di imprevedibilità all’attacco che si conferma tra i più sterili della Lega (94 punti di media, solo quattro squadre fanno peggio).

Il rischio, in questa Western Conference, è quello di rimanere fuori addirittura dalla corsa ai Playoffs e guardare la post season dal divano di casa. C’è bisogno di una scossa.