Benvenuti nel selvaggio West, è tempo di playoff. Sì perché ora che la Regular Season è terminata, non si scherza più, win or go home. Per tutto l'anno ad Ovest siamo rimasti estasiati dalla solidità dei San Antonio Spurs, dal lavoro di Doc Rivers che ha finalmente tramutato i Clippers in una solida realtà, abbiamo ammirato quell'extraterrestre di Kevin Durant battere il record di Michael Jordan di partite consecutive con almeno 25 punti (41, per la cronaca), e siamo rimasti anche sorpresi dall'esplosione di Portland, comandata dal duo Lillard-Aldridge, siamo rimasti estasiati dalle triple di Stephen Curry e... Potrei andare avanti all'infinito. Ma c'è anche chi a questi playoff NBA non ci è entrato pur avendo disputato una stagione strepitosa: i Phoenix Suns, che hanno vinto 48 partite ma si sono visti chiudere in faccia le porte della post season. Se solo Bledsoe non si fosse infortunato, magari staremmo parlando di un'altra storia. Ma non c'è tempo per i se o i ma, d'ora in poi conta solo vincere. Let's show us what you got, guys.

SAN ANTONIO SPURS - DALLAS MAVERICKS

Diciamo la verità: in quanti hanno detto, alla fine delle scorse Finals, ‘ormai il loro treno è perso’? Eppure eccoli qui, questi benedetti Spurs, con il #1 ancora una volta. San Antonio infatti si è dimostrata per l’ennesima volta una corazzata invalicabile, capace di raggiungere quota 60 W in stagione a fronte di sole 20 sconfitte e il tutto centellinando i giocatori chiave, attingendo ad un supporting cast che ha avuto il merito di farsi trovare pronto e capace di adattarsi al meglio agli schemi di coach Popovich, matusa e mentore di uno dei sistemi più efficienti di sempre. Gli Spurs hanno confermato il trend degli ultimi anni, che vede la trasformazione del sistema da offensivo in maggiormente difensivo, con gli ingranaggi di squadra oliati più che mai, e che concedono solo 97.6 punti di media, segnandone la bellezza di 105.4 in media a partita. Chi in quest’annata ha brillato è senza dubbio Marco Belinelli, autore di una RS da 11,4 punti di media, in 25 minuti di utilizzo, massimo in carriera per l’Italiano.

I Mavs hanno un attacco che produce 104.8 punti di media, concedendone però 102.4 in partita, dato che evidenzia tutte le lacune difensive di una difesa farraginosa, e proprio per questo partono nettamente sfavoriti in questa serie. Un altro dato che sembra condannare i Mavs è che nelle quattro partite stagionali sono stati in tutti gli incontri spazzati via dagli Spurs, con uno scarto medio di 12,3 punti. Certo è che un Dirk Nowitzki così agguerrito non si vedeva da tempo, e chissà che il suo fade-away non possa provocare qualche malumore alla retroguardia di San Antonio. Interessante anche lo scontro in panchina, con coach Popovich costretto a fronteggiare uno degli allenatori che soffre di più, ovvero Carlisle, un altro veteranno del pino. Il derby texano sembra però già indirizzato verso l’ “AT&T Center” Arena di San Antonio, dove gli Spurs tenteranno forse l’ultimo (ma quante volte è già stata detta questa frase?) all’anello.

OKLAHOMA CITY THUNDER - MEMPHIS GRIZZLIES

Il primo turno dei playoff 2014 concede già la prima rivincita della scorsa post season. E’ ancora negli occhi di tutti infatti l’infortunio di Russell Westbrook, scontratosi con Patrick Beverly mentre chiamava un time-out e che è costato la stagione ai Thunder, eliminati proprio dai Grizzlies alle semifinali di Conference con un perentorio 4-1.

Molte cose però sono cambiate: innanzitutto è tornato Westbrook, fresco e riposato anche grazie alla pausa concessagli da un’operazione di pulizia del ginocchio poco prima dell’All Star Game, che permette allo #0 di arrivare pronto per questi PO. C’è poi un Kevin Durant in formato MVP, capace di segnare 32 punti di media in stagione (capocannoniere) e che ha trascinato i suoi per tutta la stagione, scollinando le 55 W pur con l’assenza del suo gemello playmaker per larghi tratti della stagione. Un’incognita può essere però quella relativa a Scott Brooks, allenatore in pectore dei Thunder: come sarà la sua lettura delle partite? Abbiamo assistito ad errori grossolani da parte del coach in quanto a lettura del match, ma spesso è stato KD a sbrigliare la matassa con qualche giocata delle sue. Siamo di fronte ad un giocatore superiore, in ascesa totale, ma che non può vincere da solo. Sarà interessante vedere come uscirà Ibaka dallo scontro con Randolph, e cosa sarà di Perkins dopo la lotta con Gasol. C’è bisogno del gruppo Thunder per uscire, Westbrook e Durant da soli non possono condurli alla vittoria.

Memphis invece sembra resuscitata: a dicembre spiaggiava a circa 9 partite al di sotto del 500% di vittorie stagionali, per poi riassestarsi grazie al ritorno di Marc Gasol e all’assimilazione dei nuovi concetti tattici varati dopo il cambio della guida tecnica in seguito alla miglior stagione di sempre per i Grizzlies, culminata nella finale di conference persa malamente contro gli Spurs lo scorso anno. Memphis porta aggressività sotto canestro grazie ai due lunghi Gasol e Randolph, oltre a poter disporre di tiratori come Conley e Miller, ma l’upset sembra francamente impossibile, visto che OKC ha troppi fattori (tra cui quello del campo) per cedere il passo alla rivale. Durant vuole il titolo, e quest’anno più che mai sembra l’annata giusta.

LOS ANGELES CLIPPERS - GOLDEN STATE WARRIORS

Primo particolare di questa sfida: le due squadre si odiano. Un esempio? Sono di qualche ora fa le dichiarazioni di Klay Thompson, guardia tiratrice dei Warriors, che afferma: “Giocare contro Griffin ai playoff è snervante. Simula troppo”. Come lanciare benzina sul fuoco. Sì perché le due franchigie non si sono mai andate a genio, e questa sfida più che mai potrà dar alito a nuovi dissapori fra le due squadre. Ma andiamo con ordine, partendo dall’analizzare la formazione di Doc Rivers, che può vantare due All Star come Chris Paul e Blake Griffin. Il primo è il regista dei Clippers, l’assist man (primo in NBA con 10.7 di media) e uomo simbolo, capace di coinvolgere tutta la squadra nel flusso di gioco ma anche di sferzare le caviglie avversarie con crossover o penetrazioni a canestro. Quest’anno ha però dovuto saltare una ventina di partite, nelle quali è stato il secondo citato -Griffin- a caricarsi la squadra sulle spalle, dimostrando che “non sa solo schiacciare”. Il Big Man dell’università di Oklahoma ha infatti migliorato il suo jumper dalla media ma soprattutto si è dimostrato più solido in difesa, e lì si vede la mano di Doc Rivers, un vero vincente, capace di plasmare di una franchigia che per decenni è stata lo zimbello della Lega e portarla ad un record di 57 W, massimo nella storia dei Clips. La sua presenza in panchina può rappresentare la svolta anche nella off season, visto che l’anno scorso Paul e compagni -sotto la guida di Del Negro si sono sciolti come ghiaccioli al sole davanti ai Grizzlies, dopo essere stati in vantaggio 2-0 nella serie. Un altro tassello importante è stato l’allungamento della panchina, che ora può contare -oltre al pazzo Jamal Crawford- anche giocatori del calibro di Danny Granger e Glen Davis. Anche i Clippers sono pronti a dire la loro nella corsa all’anello.

Dall’altra parte i Golden State Warriors di Mark Jackson, che dovranno fare a meno di Andrew Bogut per l’intera serie, visto che il centro europeo è alle prese con la frattura di una costola, non un problemino che si risolve in un paio di giorni. E questa assenza rischia di pesare tantissimo per l’economia della squadra: infatti senza Bogut, e con Lee rientrato da poco, c’è il solo Jermaine O’Neal nel reparto lunghi a dover fronteggiare un frount court che conta oltre ai sopracitati Griffin e Davis anche DeAndre Jordan, macchina da rimbalzi. Potrebbero proprio essere demoliti sotto canestro. Ma Bogut era importantissimo anche nel sistema difensivo dei Warriors, che vedeva le guardie lanciarsi ad intercettare palloni lasciando magari libero il proprio uomo perché sicuro della lettura difensiva del centro, che presidiava l’area dalle incursioni avversarie. Ora non sarà più così, e i Warriors hanno anche la beffa di essersi accorti tardi di produrre di più con il quintetto piccolo, quindi con Barnes da ala grande, per cui non sono neanche troppo collaudati. Anche qui le possibilità di upset sono quasi nulle, ma mai scommettere con Stephen Curry e i suoi tiri da 3. Le bombe di Steph potrebbero incendiare la sfida, e chissà che un Igoudala esagerato -coadiuvato da una chimica di squadra ritrovata e una discreta mitragliata di Thompson- non possano mettere i bastoni fra le ruote a questi Clippers che sono più che mai decisi a puntare al titolo.

HOUSTON ROCKETS - PORTLAND TRAIL BLAZERS

E’ la sfida delle novità. Da una parte il progetto dei Rockets, che dopo aver inserito James Harden e Jeremy Lin hanno aggiunto quest’anno Howard per raggiungere i piani alti della Western Conference. Proprio l’ex Lakers però non è più il centro dominante di 3/4 anni fa, e anche i suoi movimenti in post non sono efficaci come un tempo, divenendo così un limite per l’attacco della squadra di coach McHale. Il Barba si è ormai consacrato come giocatore d’elite, però nei finali di partita a volte latita, pur essendo la vera guida di questa squadra, che può vantare anche l’apporto di Lin e di Chandler Parson, oltre che al mangia rimbalzi Asik. La classifica è bugiarda, in quanto i Rockets sono sicuramente favoriti rispetto ai Blazers, per ragioni di esperienza ma anche di numeri: il loro attacco è il secondo migliore della Lega con 107.7 punti di media, e nei 4 incontri stagionali contro Portland sono risultati vincitori 3 volte.

Gli uomini di Stotts sono invece a tutti gli effetti la sorpresa di questa Western Conference. Il sistema di gioco è semplice: un ala grande potente e ottima in post, LaMarcus Aldridge, un playmaker efficace e giovane come Damian Lillard e una serie di importanti tiratori che continuano a muoversi attorno a questi due elementi fondamentali, creando un flow di gioco impressionante che porta spesso e volentieri a tiri da 3 in campo aperto. Si aggiunga all’equazione un Robin Lopez capace di dare solidità ad una difesa da sempre fragilina, affiancando egregiamente Aldridge, e si saranno spiegati diversi motivi per cui Portland è lì dove si trova ora. La panchina inoltre ha sempre portato punti importanti nelle mani di Mo Williams e Dorell Wright, capaci di tagli al momento giusto e di continuare quel movimento continuo tanto caro a Stotts, che ha portato i propri frutti. Proprio la panchina però potrebbe essere -oltre all’inesperienza- uno dei fattori chiave di questa serie: i Blazers hanno giocato per tutto l’anno con le rotazioni corte stile playoff. Questo cosa comporta? La squadra come reagirà alle sollecitazione della post season? Si dimostrerà stanca o capace di reggere i ritmi?