La ferita è ancora aperta: dopo un’annata da “grandi” in regular season, i playoff degli Indiana Pacers non sono stati all’altezza delle aspettative. Inutile girarci attorno, dopo le prime 40 partite Indiana quest’anno sembrava non più una semplice outsider ma una grande favorita, se non LA favorita per la vittoria finale. Attacco bilanciato, Paul George finalmente esploso, chimica di squadra e affiatamento difensivo alle stelle, Hibbert solidissimo.

Poi…poi c’è stato l’AllStar Weekend, c’è stata la cessione di Danny Granger ai 76ers (poi tagliato),  l’acquisto nello stesso scambio di Evan Turner, giocatore in grado di produrre numeri importanti ai Sixers (17,4 punti, 6 rimbalzi e 3,8 assist di media fino a quel momento a Philadelphia, rendimento di gran lunga migliorato rispetto anni precedenti), e l’acquisto di Andrew Bynum, fresco tagliato dai Chicago Bulls ma ancora in ignote condizioni fisiche. Tuttavia la mossa non dà i risultati sperati, la squadra anziché migliorare peggiora terribilmente. Ma come, si prende al posto di Granger ormai fisso in infermeria un ottimo cambio degli esterni nel pieno della maturità, e si aggiunge, seppur rischiando(ma ho sempre Hibbert e Mahimi), un giocatore che 3 anni fa vinceva il titolo coi Lakers, e i risultati peggiorano?  Già, perché la forza dei Pacers era il gruppo, e qualcosa, da quel momento, è sembrato rompersi. I Pacers si erano presentati alla pausa del weekend delle stelle con un record di 40-12 (.769), saldamente in testa alla Eastern Conference e all’intera Lega, un traguardo, sebbene sorprendente, ampiamente nelle previsioni di Bird e coach Vogel. Da quel momento in poi però, Indiana ha chiuso la stagione 16-14 (.533), segnando il quinto peggior record nella storia della NBA considerando tutte le 137 squadre ad aver scollinato alla partita delle stelle con più del 70% di vittorie: peggio di loro i Sonics del 2004-05 (.531), i Blazers del 1977-78 (.529), i Knicks del 1953-54 (.500) e ancora i Blazers del 2000-01 (.469). Nessuna di queste quattro squadre è poi riuscita a raggiungere la finale di Conference, anche se Indiana almeno in questo è riuscita a sfatare il tabù. Per un raffronto, gli Spurs, arrivati all’All Star Game con un record di 38-15, hanno poi chiuso la stagione regolare 62-20, perdendo e delle ultime 7 partite, quando ormai la situazione di classifica permetteva di far riposare i migliori, ma comunque con un 24-5 che poi ha rappresentato la giusta premessa della finora entusiasmante cavalcata verso il titolo, per il quale ora si trovano a combattere contro l’avversario più grande. Tornando agli Indiana, i Pacers nelle sole ultime 25 partite hanno addirittura avuto lo stesso  rendimento degli Atlanta Hawks, che li hanno fatti sudare nel primo turno e hanno definitivamente messo a nudo le debolezze e le crepe del sistema. I Pacers sono passati dal concedere nella propria metà campo da 94.2 punti subiti per 100 possessi ad addirittura 102.8 dopo i 3 giorni di stop a Febbraio. E di conseguenza, dopo l’All Star Game, anche in attacco il calo è stato netto, arrivando fino a 100.2 punti per 100 possessi, una statistica che è valso loro il penultimo posto nella speciale classifica, davanti ai soli Philadelphia 76ers.

A posteriori si potrebbe dire che era meglio un Granger ex all star a mezzo servizio che una scommessa di sicuro talento ma evidentemente mal digerita come Turner? Per quale motivo quello che una squadra “normale” e affamata avrebbe accettato ben volentieri si è rivelato un clamoroso passo falso da parte della dirigenza Pacers guidata dal mitico Larry Bird? Nello scambio coi 76ers Indiana sembrava uscita terribilmente rinforzata, risparmiando soldi, allungando le rotazioni, diventando ancor più competitivi. Eppure, queste mosse sembrano aver fatto scoppiare una bomba.

La spiegazione più plausibile almeno dall’esterno lasciava intendere una reazione “violenta” di un gruppo estremamente immaturo, che ha “vomitato” e rigettato gli agenti esterni e si è chiuso ancora di più a riccio nelle proprie certezze non appena ultimati gli scambi. Il leader era ed è George, Lance Stephenson scheggia impazzita e giocoliere del gruppo dal talento immenso, Hibbert padrone sotto le plance…il gruppo voleva questo e questo ha voluto fino alla fine, mettendo spalle al muro un allenatore che fin a quel momento si era dimostrato estremamente quieto e padrone assoluto della situazione. L’ago della bilancia in questa vicenda sembra Stephenson : Evan Turner è giocatore molto simile a lui; la mossa viene vista come un prendersi una cautela in caso di mancato rinnovo di BornReady e da lì un’alternanza di prestazioni mostruose con pessime partite, fino alla pubblica esternazione per cui i due sarebbero arrivati addirittura alle mani. Aggiungiamoci le chiacchiere da gossip secondo cui ci sarebbe stato del tenero tra George e la fidanzata di Hibbert (fatto comunque smentito dai diretti interessati) e la bomba era pronta a scoppiare!

Risultato? Sotto gli occhi di tutti…partite imbarazzanti di Hibbert (culminate, negativamente, nel primo turno P.O coi 5 punti e 3,8 rimbalzi contro gli Hawks), Hill limitato al compitino evitando di tirare, Stephenson visibilmente infastidito e instabile… In queste condizioni la stessa leadership tanto richiesta a PG24 ha iniziato a vacillare, con risultati alterni.. grandi prestazioni intervallate da partite ben al di sotto delle sue immense capacità e, infine, l’eliminazione dai playoff dopo essersi trovati per ben due volte con le spalle al muro contro Atlanta prima e Washington poi.

Da cosa ripartire, adesso? In questi giorni stanno circolando tante voci tra gli addetti al lavoro vicini a Indiana. Ad oggi, i Pacers hanno comunque delle certezze: Paul George e David West. Il primo è passato dai 17.4 di media dello scorso anno ai 21.7 in regular season appena passata, migliorando quasi in tutte le voci statistiche e dimostrando a tratti un controllo devastante sulla partita. Nei playoff si è ulteriormente migliorato, passando a 22.6 punti per match e salendo anche nella media rimbalzi e assist rispetto alla stagione regolare. Consacrazione finale o meno non possiamo dirlo, ma sicuramente Paul George rientra ormai nei migliori della Lega e si merita il contrattone che ha (appena salito di 7 milioni secondo la Rose Provision, clausola che incrementa i bonus nei contratti al massimo salariale che permette di ricevere un importante aumento in caso di MVP, chiamata all’All Star Game o inserimento in uno dei migliori quintetti). Deve migliorare nella continuità ma è pur sempre del 1990.  Accanto a lui David West, giocatore che pur nella fase finale della sua carriera (ha quasi 34 anni), ha dimostrato di avere un carattere e una leadership da fare invidia a ¾ dei giocatori dell’NBA. Altro punto fermo pare essere coach Vogel, tanto bistrattato nella fase finale della stagione (quando lo spogliatoio era ormai una bomba) quanto stimato comunque per i miglioramenti fatti nell’ultimo triennio. Si è fatto nell’eventualità il nome di Marc Jackson, ma vista la convinzione con cui Bird ha rinnovato la fiducia al proprio coach non sembra un’ipotesi da cavalcare.

Le incognite: due su tutti, Lance Stephenson e Roy Hibbert. Per BornReady, così viene soprannominato il primo, la permanenza è ancora in dubbio, essendo scaduto il suo contratto rookie da 981mila dollari. Probabile che  voglia almeno 7-8 mln, possibile che vada oltre i 10 così come che si fermi a 4-5 per non sovraccaricare un salary cap che coi 7 milioni di PG ha sforato il tetto di circa 2 milioni di dollari (sarebbe un gesto di grande disponibilità ma comunque improbabile). Larry Bird si è detto speranzoso sulla sua conferma, gli ha fatto eco anche coach Vogel seguito a ruota dallo stesso agente del giocatore, Ebanks.

ll punto interrogativo più grande rimane però Roy Hibbert. Dubbi di natura tattica anzitutto (ma contro Bosh e James da 4 come ci si accoppia?), e tecnica, visto il drastico calo nelle statistiche personali del numero 55 Pacers, passato dai 17 e 10 di media della scorsa postseason agli attuali 9,3 e 5,5, numeri ridicoli e non in linea col contrattone da 15 milioni che porta in dote. Proprio per questo cederlo diventa complicato, e resta comunque difficile trovare acquirenti: si era parlato di Minnesota (scambio con Pekovic), ma ad oggi ci sono molti dubbi sulla sua futura destinazione.

Accanto ai due nomi top ci sarebbero poi George Hill, per cui è auspicabile un ruolo da secondo play più che starter, e Evan Turner, titolare ancora di un contratto a 8,7 milioni ma appetibile sul mercato. Del cast di supporto rimarranno ancora Scola, Mahimi, Copeland (scongelato nei P.O.) e CJ Watson, impiegati di più nei playoff ma comunque abbastanza produttivi considerati i loro contratti. Al draft i Pacers hanno solo la 57esima chiamata, che salvo un grande colpo di fortuna non cambierà le sorti del team. Non resta dunque che sperare nel mercato e in una ritrovata serenità, che sembra essere in casa Pacers la chiave di tutti i problemi…

Luca Mazzella