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Nba Finals: Let the show begin

Trecentosessantaquattro giorni dopo la prodezza di Tony Parker, la quale regalò ai suoi San Antonio Spurs un'inaspettata vittoria in Game 1 in quel di Miami, siamo tutti qui, a poche ore dal primo tip-off di quella che, ci auguriamo, potrebbe essere la serie della nostra vita.

Nba Finals: Let the show begin
Nba Finals: Let the show begin
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Di Jacopo Pozzi

Così come nel mondo del cinema, Miami Heat e San Antonio Spurs ci hanno fatto il miglior regalo che un denti da latte possa aspettare sotto l'albero la mattina di Natale: il sequel del proprio film preferito.

Una possibilità di riscrivere il proprio destino, una di quelle seconde chance che il Creatore concede una sola volta nella vita e neanche a tutti.

Chi di voi, sportivi o meno, non ha mai desiderato di poter riscrivere una pagina della propria vita? Un tiro sbagliato, un passo troppo lungo o troppo corto, una deviazione sfortunata, una parola detta male, una frase col tono sbagliato, un gesto troppo plateale. Ora, quanti di voi hanno avuto la possibilità, indipendentemente dalla distanza di tempo, di rifare e rifarsi in una di queste situazioni? Quanto o cosa dareste anche solo per avere la possibilità di provarci?

Nello sport ancor più che nella vita, questa possibilità va conquistata, va guadagnata dando tutto sè stessi. Così Tim Duncan e compagni si sono presi con forza ed umiltà la possibilità di riscrivere il proprio destino, di cancellare quei tre giorni di tragedia tra il 18 ed il 20 di giugno dell'anno scorso, nei quali ogni tipo di emozioni che il cervello umano è capace di registrare sono state provate e recepite.

La squadra ha le stesse basi di 365 giorni fa, anzi, forse ancor più consolidate.Popovich, Parker, Duncan e Ginobili portano una quantità di saggezza ed esperienza difficilmente riscontrabile in altre squadre partecipanti alle Finals nella storia della Nba. A questo va aggiunta la maturazione ormai quasi definitiva di talenti giovani come Leonard o di giocatori ormai esperti come Danny Green e Boris Diaw, passando per le seconde linee quali Mills, Joseph, Splitter ed il nostro Marco Belinelli.

Se dal Big Three, infortuni e condizione fisica permettendo, ci si può aspettare una garanzia sotto il punto di vista dell'impegno e della resa nei 48 minuti di gioco, la panchina dovrà continuare l'eccellente lavoro svolto sino ad ora in questa edizione dei Playoff. I San Antonio Spurs hanno sin qui avuto, senza ombra di dubbio, la miglior panchina delle sedici partecipanti a questa post-Season, capace di siglare anche la bellezza di cinquanta punti in una sola gara. Il merito è ovviamente tutto di Coach Pop, Mvp tra gli allenatori quest'anno, il quale ha saputo forgiare e plasmare all'unisono la mente di tutti gli atleti a sua disposizione in rosa, senza guardare nome e numero sulla canotta. Senza stare a fare inutili viaggi nel passato, l'emblema di questa squadra può essere rappresentato dall'ultima partita disputata, ovvero Gara 6 contro i Thunder ad Oklahoma City. Con Parker costretto ad abdicare per un problema alla gamba dopo soli 18 minuti di gioco, Duncan e compagni sono stati capaci di superare brillantemente le difficoltà, proclamandosi Western Conference Champions per il secondo anno consecutivo, nello stadio più caloroso di tutti gli Stati Uniti.

Se da una parte la sete di vendetta degli Spurs rappresenta sicuramente la storia più affascinante di questi ultimi cinque anni di Finals, dall'altra parte ce ne sono di altrettanto potenti e intrinseche di significato. Onore, gloria, Hall of Fame. Quando quattro anni fa Pat Riley riuscì a portare a Miami i Big Three, i suoi auspici erano proprio quelli di ritrovarsi a disputare questo tipo di competizione, questo tipo di challenge.

La più bella sfida che queste Finals offre è proprio quella tra le due franchigie, prese nel loro complesso: due società gigantesche, così tanto diverse eppure così uguali. Due modi di intendere il basket a 360° gradi in maniera quasi opposta, ma in ogni caso vincente.

I San Antonio Spurs con un gioco più corale, in grado di essere espresso a memoria da ogni componente del roster in qualunque momento di qualunque partita. Veterani e leader a proteggere giovani talenti pronti ad esplodere definitivamente.

I Miami Heat con una manovra improntata principalmente sulla potenza e sul ritmo di gioco, talvolta talmente elevato da avere tinte di uno tzunami, devastante ed inesorabile. Tre tra le superstar meno egoiste della storia di questo sport, in grado di coinvolgere ogni compagno riponendo in esso la propria totale fiducia, il tutto sotto la supervisione di un allenatore giovane ma estremamente capace come Spoelstra, fattosi da solo dopo anni di gavetta tra lo staff proprio degli Heat, in grado di gestire alla perfezione un gruppo pieno di icone di livello mondiale.

Facendo un passo indietro ed andando ad analizzare le Finals del 2013, dobbiamo tuttavia riscontrare come il gioco espresso dalle due squadre non fu esattamente quello che era stato fatto da loro vedere durante il resto della stagione. Specialmente per quanto riguarda gli Spurs, soprattutto nelle strabordanti vittorie ottenute in Gara 3 e Gara 5, i più grandi risultati non sono arrivati tramite una manovra calibrata e coinvolgente, sebbene grazie ad un pompatissimo ed ultra efficente gioco da tre, con Danny Green e l'ex Gary Neal sugli scudi.

Non è un caso infatti che, nelle due partite decisive come Gara 6 e 7, nelle quali le percentuali da fuori il perimetro si sono sensibilmente abbassate, San Antonio a avuto più difficoltà a gestire il risultato, specialmente negli ultimi minuti di partita (Ray Allen chi?). Con l'aggiunta al roster di Marco Belinelli e con la maggior responsabilità data a Boris Diaw, Popovich ha sicuramente colmato quel gap, incrementando sensibilmente l'intelligenza tattica offensiva della squadra.

Sfortuna vuole che di fronte a loro, i texani si troveranno la peggior difesa esistente contro questo tipo di gioco, ovvero quella sovraumanamente atletica dei Miami Heat, in grado di correre il doppio di qualsiasi altra squadra Nba, permettendosi di allargare, e di molto, il raggio delle proprie marcature. Una squadra volontariamente votata al possesso successivo, indipendentemente dal risultato di quello corrente, che predilige un'impeccabile transition defense piuttosto che alla conquista di un rimbalzo offensivo, questo grazie alla totale affidabilità dal campo data dalle percentuali extraterrestri del Big Three.

Erik Spoelstra tuttavia, si ritrova rispetto alla passata stagione con un Mike Miller in meno, il quale dovrà essere degnamente sostituito da Rashard Lewis e da una conferma tattica ed atletica di Norris Cole e Shane Battier.

Le due compagini arrivano a queste Finals rispettivamente con un principale vantaggio a disposizione.

Miami ha dalla sua, così come è stato per le scorse finali, un maggior numero di bocche da fuoco in grado di colpire glacialmente in maniera letale negli ultimi secondi di gara. LeBron James, Dwayne Wade, Chris Bosh, Ray Allen e Mario Chalmers rappresentano un quintetto da ultimo possesso in grado di annientarti da qualunque posizione ed in qualunque modo. Dal canto loro gli Spurs non possono contare sullo stesso numero di assi nella manica, affidando principalmente un eventuale ultimo possesso ad uno del Big Three, anche se un exploit di un outsider rimane cosa estremamente verificabile.

Il più grande vantaggio dei San Antonio Spurs, vantaggio che si era verificato essere forse il più grande svantaggio della passata edizione, è quello del fattore campo.

Un'eventuale Gara 7 giocata di fronte al proprio pubblico non può non rappresentare un enorme, astronomico punto a favore per i texani, soprattutto dopo quello che successe all'American Airlines Arena, vero e proprio sesto uomo in campo per i futuri vincitori Miami Heat.

L'attesa è dunque conclusa, le chiacchere stanno a zero. Questa notte si alza il sipario e allora... let the show begin.