Ci eravamo tanto odiati. Potrebbe essere questo il riassunto delle puntate precedenti del rapporto cestistico e umano tra Kobe Bryant e Shaquille O'Neal, per anni compagni di squadra ai Lakers e poi fieri avversari quando uno Shaq in parabola discendente scelse Miami come suo buen ritiro (riuscendo a conquistare un anello Nba anche lì, peraltro). Tre titoli sotto la guida di Phil Jackson nella L.A. gialloviola non erano stati sufficienti a creare il giusto feeling tra due dei più forti giocatori della loro generazione. Una guardia dal talento sconfinato e incisiva come poche altre nella storia del basket professionistico americano e uno dei centri più dominanti di sempre per stazza e capacità di intimorire gli avversari. La coppia ideale, tecnicamente parlando, due fenomeni che vorresti sempre avere dalla tua parte.

Ma le personalità dei due erano - e rimangono - troppo diverse per proseguire una serena convivenza insieme. Tanto ossessivo, maniacale e attento alla cura di ogni dettaglio Kobe, quanto pigro, guascone e viveur Shaq. I rapporti si deteriorano definitivamente a margine della vicenda legale che vede coinvolto Bryant in un'accusa di violenza sessuale cui deve rispondere in Colorado, con alcune battute rese alla stampa da O'Neal non gradite (eufemismo) dal più giovane compagno di squadra. Ed ecco che le vie dei due si separano: Shaq vola e vince a Miami prima di incamminarsi sul suo personalissimo viale del tramonto, che comprenderà varie fermate, tra cui Cleveland, Phoenix e Boston. Kobe invece continua ai Lakers e, dopo qualche stagione difficile (per la squadra, si intende, non per lui, che mette insieme numeri spaventosi), continua con i gialloviola, prima di tentare nuovamente l'assalto al titolo Nba, impresa riuscita con i due trionfi ottenuti in sequenza nell 2009 (contro Orlando) e nel 2010 (in una serie da annali contro i Celtics conclusasi solo dopo sette gare).

Il resto è storia recente, con i due che alternano punzecchiature a segnali di distensione, resa più facile dal nuovo ruolo di O'Neal, commentatore televisivo e non più temibile avversario di Bryant nelle arene Nba. L'ultimo capitolo della storia delle relazioni personali tra i due si è aperto oggi, nella trasmissione radiofonica ("The Big Podcast with Shaq") condotta dall'ex giocatore dei Lakers, che ha descritto con queste parole il suo pensiero sulla questione: "Voglio solo che la gente sappia che non ti odio - ha esordito Shaq riferendosi a Kobe, anch'egli presente - e so che tu non odi me. All'epoca dei Lakers eravamoentrambi molto giovani. Ma, a pensarci bene, abbiamo vinto tre titoli insieme, quindi forse non andava tutto così male. Abbiamo avuto molte discussioni, e siamo stati spesso in disaccordo su molte cose, ma credo che tutto questo abbia alimentato la nostra voglia di vincere".

Un Bryant accondiscente ha replicato immediatamente all'ex compagno di tante battaglie: "Quando si invecchia, si cominciano a vedere tante cose in una prospettiva diversa, al punto da pensare "Caspita, quanto sono stato stupido, ero proprio un bambino". La cosa più importante per me all'epoca era che tu tenessi la bocca chiusa, non c'era bisogno di andare dalla stampa. Abbiamo avuto le nostre incomprensioni, ma credo che averne parlato alla stampa sia stata una cosa che avremmo dovuto evitare". Le parole di oggi di Kobe si aggiungono a quelle tutt'altro che concilianti spese a proposito di un altro centro suo ex compagno di squadra, quel Dwight Howard con cui il feeling non è mai sbocciato: "Non avevo mai capito quanto fosse stato un privilegio giocare con Shaq fin quando non ho giocato con Howard", la battuta al veleno del numero 24 resa nei confronti dell'attuale centro degli Houston Rockets. Chissà se anche con Howard potranno esserci in futuro momenti di riconciliazione, così come accaduto recentemente con Shaquille O'Neal. Pace fatta dunque? Sì. Almeno fino alla prossima puntata.