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NBA, Cleveland e San Antonio a secco: ecco perché non c'è da preoccuparsi

Otto sconfitte in altrettante partite di prestagione per Cavaliers e Spurs e nonostante le voci sempre più insistenti su due squadre in difficoltà, il sorriso di Popovich infonde serenità e tranquillità alla franchigia texana, mentre le assenze dei big-three non preoccupano affatto Blatt ed il suo staff. Ecco i motivi di questa calma apparente.

NBA, Cleveland e San Antonio a secco: ecco perché non c'è da preoccuparsi
NBA, Cleveland e San Antonio a secco: ecco perché non c'è da preoccuparsi
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Di Andrea Bugno

Il campionato NBA non è ancora iniziato eppure il grande, enorme tam-tam mediatico scatenatosi attorno alle sconfitte in rapida successione in pre-stagione dei Cleveland Cavaliers e dei San Antonio Spurs riempie la maggior parte dei notiziari statunitensi e non, che sono alle prese con una frenetica analisi delle motivazioni legate allo 0-5 dei finalisti della scorsa stagione e dello 0-3 dei texani allenati da Gregg Popovich.

Dal momento in cui non sembra poter bastare lo scarsissimo appeal del cosiddetto pre-campionato (che farebbe scattare nelle menti dei più una fioca partecipazione a degli eventi con alcun fine di risultato) per rasserenare animi e spegnere polemiche legate alla scarsa alchimia delle squadre viste in campo in queste gare, proviamo a fare chiarezza per spiegare i motivi che hanno portato a questo 0-8 combinato delle due franchigie.

Cosa bolle nella pentola in Ohio

I Cleveland Cavaliers che si sono presentati ai pre-nastri di pre-partenza avevano individuato nelle partite di avvicinamento alla stagione un validissimo motivo (lo stesso che accomuna la maggior parte delle franchigie NBA) di scoprire quei giocatori che potessero fare al caso di Blatt da usare come contorno ai big-three nella costruzione della rosa che avrebbe dovuto affrontare la Regular Season e, come tutto lascia presagire, i playoffs. Se la qualità e l'indice delle prestazioni dei vari Dellavedova, Smith, Jones, Mozgov e Varejao la si conosceva, era tuttavia da scoprire l'impatto e l'inserimento che potessero avere nel contesto di squadra i nuovi acquisti Jefferson, Williams e Kaun. Ovviamente assenti e tenuti lontano da queste esibizioni sia James, che è apparso per pochissimo per poi defilarsi in vista dell'opening night, Love, che scende sul parquet solo per riscaldarsi con la squadra e migliorare il feeling con il campo, che Irving, il cui recupero è ancora in fase evolutiva.

Basterebbero queste tre assenze ed un insieme di squadra poco fluido e dinamico per spiegare le prime difficoltà. Andando a spulciare nelle gare dei Cavs di queste prime cinque apparizioni si nota proprio questo scarso feeling tra i protagonisti, il che è assolutamente fisiologico. Si è spesso visto, al netto dei canestri e delle invenzioni dei singoli, uno scarso body language tra i protagonisti in maglia Cavaliers, che ha messo in risalto la scarsa conoscenza tra i nuovi giocatori con il sistema Blatt e con i cosiddetti pretoriani del gruppo. Inoltre, a buoi scappati, la maggior parte dei presenti hanno utilizzato i minuti di visibilità per impressionare positivamente l'allenatore nella speranza di ottenere una conferma insperata oppure di strappare contratti con altre squadre (per chi è già consapevole che non verrà confermato).

Tra poco più di dieci giorni vedremo un altro volto della stessa squadra, tutt'altro che allo sbando e con gerarchie ben consolidate, alla quale basterà l'ingresso in campo di uno dei collanti più forti del mondo per ricomporre l'assetto della squadra vista nelle Finals dello scorso anno.

Calma e sangue freddo, garantisce Popovich

Il sorriso (uno dei rarissimi) di Gregg Popovich verso l'allievo Budenholzer, alla fine della gara persa dai San Antonio Spurs in casa degli Atlanta Hawsk, dice più o meno tutto dello stato psico-fisico del Santone allenatore degli Speroni. Nonostante la terza sconfitta consecutiva della sua squadra Pop è ben conscio delle difficoltà fisiche e fisiologiche che i suoi vecchi Spurs incontreranno ad inizio di campionato. Come uno dei più classici motori diesel, San Antonio ha bisogno di tempo per mettere in condizione i vari totem della squadra, che alla veneranda età nella quale si ritrovano e continuano a lottare, non possono certamente avere la freschezza e la brillantezza di un Kawhi Leonard nel mese di ottobre.

Rispetto al discorso fatto per i Cavaliers la situazione Spurs è leggermente diversa e si sposta dall'aspetto della costruzione della squadra (che sta avvenendo a Cleveland attorno all'ossatura dell'annata precedente) a quello della programmazione e preparazione atletica dei singoli giocatori. Così come già accaduto lo scorso anno, anche in questo primo scorcio di campionato i vari Duncan, Parker, Ginobili e Diaw, vengono utilizzati con il contagocce per consentirgli un ingresso in scena molto più lento e graduale, senza alcuni strappi ne forzature di alcun tipo. L'unico che è già in formato campionato è ovviamente Leonard, che ad Atlanta ha messo a referto 20 punti ed 8 rimbalzi in 22 minuti di apparizione.

In Georgia la sconfitta è arrivata per motivi di intensità e di ritmo che questi Spurs non possono assolutamente contrastare a questo punto della stagione. Ovviamente le geometrie sono sempre le stesse, ciò che cambia è l'ampio turnover che Popovich ha utilizzato: sono ben 18, al netto delle assenze di Diaw e di Aldridge (ah già, c'è anche LMA), i giocatori che han messo piede sul parquet della Philips Arena, alterando equilibri ed alchimie che nella ripresa sono venuti a mancare e che hanno concesso l'allungo a Teague e soci. Poco importa del risultato, ed in tal senso vanno visti gli inserimenti di Skyes, Williams, McCallum e Simmons. Ciò che preme maggiormente ad uno degli allenatori più longevi della NBA di oggi è l'inserimento di giocatori che possono tornare utili nel corso della stagione come West e Fredette o futuribili come Ndoye e Marjanovic.