Andando ad osservare la classifica della Eastern Conference NBA dopo appena un mese dall’inizio della regular season non si può non notare il quinto posto dei Miami Heat. Dopo la decima posizione (37-45) della scorsa stagione, la prima senza Lebron James e la prima senza Playoffs negli ultimi sei anni, in questo inizio di stagione gli uomini di Coach Erik Spoelstra sembrano aver ingranato in maniera diversa. Proprio lo scorso anno è iniziata una rivoluzione mirata a svecchiare la squadra, approfittando del terremoto causato dal ritorno del Prescelto in terra natìa, a Cleveland. Le speranze malriposte in Danny Granger – inserito poi nello scambio invernale con Phoenix che ha portato a Miami i fratelli Dragic – e i problemi fisici di Chris Bosh hanno fatto naufragare gli Heat nel marasma della Eastern Conference, chiusa fuori dalle migliori otto.

Quest’anno Bosh è tornato arruolabile, facendo intravedere già un paio di partite degne dei suoi (altissimi) standard; il parco guardie è stato rivoluzionato dalle trade che hanno allontanato dall’American Airlines Arena Shabazz Napier (Orlando), Zoran Dragic (Boston) e Mario Chalmers (Memphis) e portato invece in florida Beno Udrih (Memphis) e Josh Richardson (40esima scelta al draftanto al solito irriducibile Dwayne Wade; sempre il Draft ha portato un potenziale All-Star come Justin Winslow; l’estate invece un’esperto Amare Stoudemire. Ma su tutti svetta la splendida prima parte di stagione di Hassan Whiteside.

Whiteside fu chiamato alla trentatreesima posizione del Draft 2010 (quello che portò nella lega John Wall, Demarcus Cousins e Paul George, per intenderci) dai Sacramento Kings. I suoi problemi fisici gli costarono subito la panchina e successivamente la D-League, dove rimase per due anni (tra Reno Bighorns e Sioux Falls Skyforce). Poi in giro per il mondo: Libia, Cina e ancora Libia. Oltreoceano Hassan colleziona buone prestazioni, valanghe di punti ma soprattutto di rimbalzi e stoppate. Lo scorso Novembre la grande chiamata da Miami e la prima vera stagione in NBA: pur nella confusione sopra citata, Whiteside riesce a ritagliarsi 48 apparizioni a 24 minuti, 12 punti, 10 rimbalzi e 2.6 stoppate di media.

Nell’ultimo mese, però, è arrivato il salto di qualità: la fiducia di Spoelstra ha fatto diventare i minuti 30, con conseguente aumento di punti (15.3 di media), rimbalzi (12) ma soprattutto stoppate (4.6). Numeri alla mano, un vero e proprio Whiteside Effect, come è stato definito oltreoceano.

Per meglio comprendere il fenomeno, ricorriamo a qualche statistica: Whiteside ha inchiodato quarantasei stoppate nelle sue prime dieci apparizioni. Quarantasei. Ovvero più del numero di stoppate di sei intere franchige NBA! Tutti i componenti di Pistons, Suns, Mavericks, Kings, Timberwolves e Cavaliers inseguono in questa particolare classifica.

Non solo. Ovviamente l’influenza del prodotto di Marshall University si ripercuote sull’intera solidità difensiva degli Heat, rendendoli la squadra con più tiri da due avversari stoppati (ben il 12%!), concedendo 17.5 punti di media a partita al centro avversario. Solo Charlotte, Detroit, Utah e San Antonio fanno di meglio nell’intera lega.

Il progresso non è però arrivato solo per quanto riguarda la protezione del ferro. Il numero ventuno mantiene infatti stabile la sua percentuale dal campo al 63%, con la differenza che rispetto al 2014-15 (a sinistra nella mappa di tiro) la tendenza di questo 2015-16 sembra leggermente votata alle conclusioni frontali a tre o quattro passi dal canestro, se non ai jumper fuori dal pitturato, materia totalmente avulsa al nostro solo sei mesi fa. La sensazione è quella di un giocatore che allarga i propri orizzonti e continua a mostrare importanti margini di miglioramento.

Con queste statistiche in Regular Season, Whiteside è il primo tra i centri titolari NBA per stoppate a partita, terzo nella Eastern Conference per punti segnati a partita (dietro a Okafor e Brook Lopez, abbondantemente sopra i 19). Sempre limitatamente al suo ruolo, inoltre, è leader a Est per percentuale di canestri segnati dal campo, terzo assoluto alle spalle di Deandre Jordan e Cauley-Stein. Il secondo posto assoluto nella classifica dei rimbalzi (dietro al solito Jordan) denota infine la straordinaria forma attuale ma soprattutto la completezza di un atleta al suo secondo anno de-facto in questa lega.

Proprio lo scorso 17 novembre, nella partita casalinga contro Minnesota –persa 106 a 91 – il ventiseienne di Gastonia, North Carolina, ha festeggiato la sua seconda tripla doppia punti/rimbalzi/stoppate della sua carriera, raggiungendo Ben Wallace al sesto posto nella classifica all time.

22 punti conditi da 14 rimbalzi e 10 stoppate gli hanno permesso di entrare a far parte di un club esclusivo. Olajuwon, Robinson (veri e propri fuoriclasse della specialità), O’ Neal, Howard, Noah, Mutombo e Shawn Bradley gli altri capaci di una simile impresa nella storia dell’NBA. Nessuno, però, ci era mai riuscito con così pochi minuti sul parquet (34) né con percentuali così alte al tiro (71.4%).

Insomma, sembra proprio che il Whiteside Effect sia solo all'inizio.

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About the author
Stefano Fontana
Ventenne. Ex-Liceo Scientifico abruzzese, trapiantato a Bologna nella facoltà di ingegneria informatica. Da sempre malato di calcio, fede rigorosamente rossonera, alla quale nel tempo si è aggiunta quella biancorossa dei Gunners. Con gli anni ho imparato ad amare tennis e basket NBA, grazie rispettivamente a Roger Federer ed alle mani paranormali di Manu Ginobili. Aspirante chitarrista con poche fortune. Non rifiuto mai una birra gelata.