NBA VAVEL

Nba, Houston Rockets: Howard, Harden e uno spogliatoio spaccato

La decisione di esonerare Kevin McHale lascia irrisolti molti dei problemi dei Rockets, da una difficile convivenza nello spogliatoi a equivoci tecnico-tattici mascherati durante la scorsa stagione.

Nba, Houston Rockets: Howard, Harden e uno spogliatoio spaccato
Nba, Houston Rockets: Howard, Harden e uno spogliatoio spaccato
andrears
Di Andrea Russo Spena

Ora che Kevin McHale è stato esonerato dall'incarico di head coach degli Houston Rockets, gli alibi per i big della franchigia texana sono terminati. Da Harden a Howard, passando per l'addio di Chandler Parsons, l'ex allenatore dei Rockets era riuscito negli anni a superare dissidi interni e spaccature tra singoli giocatori in un spogliatoio in cui nessuno aveva - nè ha adesso - la caratura e l'autorevolezza per essere un vero leader di una squadra che puntava al titolo Nba.

A pochi giorni dall'avvicendamento McHale-J.B. Bickerstaff, emergono nuovi dettagli sull'inizio di stagione di Houston, caratterizzato da più bassi che alti, all'interno di una squadra che di colpo ha mostrato tutti i problemi strutturali che erano stati mascherati la scorsa annata, quando i texani riuscirono a raggiungere addirittura la finale di Conference (anche se con la complicità dei Los Angeles Clippers). Un feeling mai sbocciato tra James Harden e Dwight Howard - come spiegato da Fran Blinebury su Nba.com - ha portato a divisioni e lotte intestine, con una parte del gruppo pronta ad accusare il Barba di essere troppo individualista (se non egoista), e l'altra a rinfacciare a Howard mancanza di professionalità nel recupero dai suoi numerosi infortuni. Le dichiarazioni di preseason di Harden, attraverso le quali l'ex giocatore di Oklahoma City aveva confessato di pensare di non aver meritato il secondo posto nella corsa alla Mvp della stagione 2015, hanno messo ancora più pressione su una squadra andata oltre i propri limiti con coach McHale alla sua guida. 

Che Howard non sia giocatore dotato di leadership e carisma necessari per prendersi sulle spalle un gruppo che intende lottare per il titolo è stato recentemente confermato anche dalle parole - durissime - di Chauncey Billups, vincitore del campionato Nba nella stagione 2004 con i Detroit Pistons: "Se i leader della tua squadra sono Howard e Harden, non hai molte speranze di portarti a casa l'anello", la stoccata di Billups, preceduta dalla frecciata velenosissima di Kobe Bryant durante l'estate ("Non ho mai apprezzato abbastanza il privilegio di aver giocato con Shaquille O'Neal finchè non ho avuto in squadra Dwight Howard"). Eppure i dissidi interni allo spogliatoio - gli stessi che avevano indotto il frontoffice di Houston a lasciar partire Chandler Parsons verso Dallas, da quel momento polemico ex - non rappresentano le uniche motivazioni delle difficoltà dei Rockets nell'ottenere risultati nella regular season in corso. Durante l'estate il general manager Morey aveva ritenuto necessario acquisire un playmaker, allo scopo di coprire un ruolo ritenuto scoperto nel roster dei texani. Una volta bocciato Jeremy Lin, Patrick Beverley non aveva poi garantito quella continuità atletica e tecnica richiesta a una squadra di vertice Nba. Si è sfruttata così l'occasione Ty Lawson, messo sul mercato dai Denver Nuggets, dopo problemi personali e un rendimento non sempre all'altezza delle aspettative della franchigia del Colorado.

Lawson, giunto a Houston in luglio dopo che a febbraio era sfumata l'operazione Dragic, ha finito per rendere ancor più manifesti alcuni problemi già noti agli addetti ai lavori. In una squadra in cui James Harden preferisce far partire l'azione con la palla in mano, o comunque isolarsi nella maggior parte dei possessi offensivi, una point guard come Lawson, abituata ad avere i suoi spazi, i suoi tiri dal palleggio o al ferro, è sinora sembrata un oggetto misterioso nel mondo dei Rockets. Sarebbe stato probabilmente più saggio puntare su un playmaker ombra, un po' come accaduto con lo stesso Beverley, che non avesse bisogno di avere il pallone tra le mani per acquisire ritmo, ma che invece potesse spaziarsi sul perimetro per sfruttare i raddoppi degli avversari su Harden. E' rimasto infine aperto anche il capitolo tecnico relativo a Dwight Howard. Al netto degli infortuni assortiti di cui è stato vittima, il lungo chiamato Superman è in buona misura lo stesso giocatore dei tempi di Orlando, con la differenza che il suo fisico non lo assiste più come nei giorni fasti della Florida. In mancanza di un'evoluzione tecnica significativa, accompagnata piuttosto da un logorio atletico evidente, Howard ha continuato nelle ultime stagioni a giocare una pallacanestro basica, fin troppo essenziale nella sua povertà di alternative. Praticamente nullo in post-basso e spalle a canestro, Dwight rimane un gran rimbalzista e un ottimo stoppatore, ma la sua incisività in entrambe le fasi del gioco è scesa in maniera evidente, al punto da far dubitare su un prosieguo ad alti livelli della sua carriera.

Ora starà a Bickerstaff, promosso a capo allenatore fino a nuovo ordine, cercare di mettere insieme i pezzi di un puzzle in decomposizione, anche se la sua posizione sulla panchina di Houston rimane poco salda. Come riportato infatti da Adrian Wojnarowski per Yahoo Sports, la dirigenza dei Rockets avrebbe infatti già vagliato le piste che portano a Tom Thibodeau e a Jeff Van Gundy, mantenendole vive sia per la stagione in corso che per la prossima, quando verosimilmente i principali nodi che avviluppano la franchigia texana saranno sciolti con un deciso cambio di rotta.