Un avversario tremendamente forte. Un atleta con un'etica fuori dalla norma. Un vincente. Se dovessi definire Kobe Bryant in tre modi, sicuramente sarebbero questi. E attenzione, a primo acchito potrebbe far pensare che io non amassi Kobe. E forse potrebbe essere così, perchè è stato un certo signor Manu Ginobili ad avvicinarmi alla palla a spicchi, ed essendo uno Spurs fan è difficile amare un avversario. Perchè questo è Kobe per me di fatto, un avversario.

Ma in realtà non riesco a non amarlo del tutto per una serie di motivi. Innanzitutto per quella sua personalità, quel carisma che trasmette ai compagni, agli avversari, a chiunque gli stia intorno. Kobe è come ricoperto da un'aura, è un re Mida della palla a spicchi, per un periodo tutto ciò che toccava diventava oro. E chiunque ami il basket non può non rimanere accecato dalla luce della sua stella.

Probabilmente gli stessi criticatori, o haters se così vogliamo chiamarli, non sono rimasti indifferenti alla lettera sul Players' tribune pubblicata per annunciare il ritiro. Non hanno festeggiato, poco ma sicuro. Ma non sono riusciti a rimanere indifferenti, perchè di fronte a Kobe Bean Bryant nessuno può rimanere indifferente. Che sia un reazione positiva, che sia una reazione negativa, chiunque reagisce emotivamente.

Un'altra ragione che mi porta ad amarlo è che ogni mattina, quando durante la colazione sfogliavo numeri e highlights delle gare della notte, sapevo sempre che mi avrebbe riservato qualche sorpresa. Così come nelle notti insonni, d'altro canto. Me le ricordo bene le Finals del 2009, o quelle del 2010 con la corsa con il pallone e quel Five alzato. Mi sono perso per motivi di età il primo threepeat, ma ho avuto la fortuna di rivederlo.

Potremmo andare avanti per ore e ore a ricordare i momenti salienti di una carriera che non serve raccontare, perchè parla da sola. Per non parlare del palmarès. Chiunque abbia vissuto di basket e si sia cibato di palla a spicchi negli anni post 2000 può testimoniare cosa è stato.

Ma oltre al Kobe giocatore, è stato difficile anche rimanere indifferenti di fronte al Kobe uomo. Ho avuto la possibilità di vederlo a Milano un giorno, in lontananza, purtroppo. Posso assicurare che c'era un clima sì di festa, ma anche di incredulità generale. "Damn, sono a tre passi dal Black Mamba!" 

I suoi discorsi in italiano, le sue interviste, i dialoghi con Vujacic.

Le epiche sfide con gli Spurs, la squadra che seguo, che mi ha appassionato al gioco. Gli scontri tra titani con Duncan, Ginobili e Parker. Tutti i confronti, tutte le sconfitte che ci ha inflitto, tutte le volte che l'abbiamo battuto.

Sapevo dentro di me che questo momento stava per arrivare, era nell'aria. Si vedeva. E da un lato sono anche contento sia arrivato, perchè vederlo in campo in questa precaria situazione fisica faceva molto male al cuore. Non è Kobe questo, purtroppo.

Dire però che faccia più male il vederlo così che il sapere di non poterlo veder più su un campo sarebbe mentire. E ieri non me la sono sentita di spendere parole, ho aspettato un giorno per farlo.

Caro Kobe, tu hai ringraziato il gioco del basket, noi tutti appassionati ringraziamo te. Per i momenti che ci hai regalato. Per l'attitudine. Per gli highlights. E anche quel tiro immaginario a cinque secondi dalla fine sono sicuro che finirà con lo schiaffo alla retina.

Vinci ancora tu.