Diciassette. Diciassette vittorie. Questo il bilancio alla fine della scorsa regular season per i New York Knicks, al termine del primo anno di Phil Jackson nel ruolo di General Manager di una franchigia NBA. Vincerne diciassette su ottantadue, matematicamente, vuol dire aver perso ben sessantacinque partite. Sessantacinque. Una media di una vittoria ogni 4 sconfitte. Di gran lunga il record peggiore della storia della franchigia, che ha garantito ai Knicks l’ultimo posto nella Eastern Conference.

Nella prima settimana del 2016, però, già tutto è cambiato: NY migliora a vista d’occhio e, dopo la vittoria 98-90 contro i Miami Heat – terza consecutiva, quarta nelle ultime cinque – Melo e compagni hanno già migliorato il risultato della scorsa stagione, e viaggiano con un dignitosissimo 18-19 sulle spalle. Certo, da qui a un posto playoff ce ne passa, ma la sensazione è che il rebuilding tanto atteso da tifosi, front office e soprattutto giocatori (Anthony chi?) stia funzionando e procedendo a buon ritmo. Parte del merito di questo exploit è proprio di Phil Jackson. Ma non solo. Un altro nome è da mesi sulla bocca di tutti gli appassionati di basket della Grande Mela e non solo: Kristaps Porzingis.

Nonostante la non brillante prestazione nella notte di mercoledì, quando il gigante lettone ha subito eccessivamente la fisicità di Chris Bosh ed è sembrato abbastanza appannato in attacco (comunque 12 con 4 rimbalzi e 1 assist per lui, ma 3/10 dal campo con questa schiacciata in transizione sbagliata), Porzingis rimane un fattore ogni volta che mette piede in campo: stoppate, difesa e attacco sotto i tabelloni, ma soprattutto la possibilità di aprire il campo ed essere efficace anche dal perimetro. Ma soprattutto, il prodotto della sesta scelta assoluta al draft 2015 è energico. Talmente energico che la sua personalità contagia anche i compagni.

"Anche essendo un rookie, non l’ho visto mai fare un passo indeitro contro nessuno. Non ha paura". Parole e musica del suo compagno Robin Lopez, dopo le scintille scoppiate con Kent Bazemore durante la partita (poi vinta 107-101) di martedì ad Atlanta. Personalità, già. Quella che si intravede, per esempio, nei tiri che Porzingis ha continuato a prendere contro Miami, nonostante la combinazione tra poster subito (grande schiacciata di Bosh) e schiacciata sbagliata praticamente senza opposizione, che avrebbe abbattuto il morale di tanti, soprattutto se la tua carta d’identità recita “2 agosto 1995”.

Il numero 6 di New York, arrivato dal Draft per grande intuizione di Jackson (nonostante le bordate di fischi al suo annuncio), è senza dubbio la punta di diamante dell’offseason in quel del Madison Square Garden. Ma non è il solo. La ricostruzione a cui si accennava in precedenza passa anche da tanti altri elementi, tra promesse e semi-veterani su cui l'ex giocatore e allenatore 12 volte campione NBA punta ciecamente per risalire la china (e la classifica) con un solido progetto a lungo termine.

Arron Afflalo, anche lui non al meglio in quel di Miami (9 punti con 4/10 dal campo), è tuttavia in forma smagliante. Nelle due partite precedenti (doppia vittoria nel back-to-back con gli Hawks) ha messo a referto 30.5 punti, 4.5 rimbalzi e 3.0 assist di media, con uno splendido 9/10 dalla lunga distanza. Dal perimetro al pitturato, si arriva a Robin Lopez, puro protettore del ferro che finalmente sta riuscendo a dare anche il giusto contributo anche nell’altra metà del campo: contro Miami è arrivato un season-high di 19 punti grazie ai numerosi movimenti in post che hanno tormentato letteralmente Hassan Whiteside.

Entrambi sono arrivati quest’estate, nell’ambito di un processo che il front-office dei Knicks ha chiaramente designato come una serie di “piccoli passi”, ovvero la firma di tanti buoni giocatori con l’obiettivo di cambiare lentamente ma continuativamente la mentalità e la cultura dell’ambiente. Altro tassello è Derrick Williams, tredici punti con otto rimbalzi mercoledì. Lui, assieme a Porzingis e a Kyle O’Quinn, rappresenta il vero “zoccolo” giovane a cui Jackson chiede il salto di qualità. L’ex head coach di Bulls e Lakers, però, non ha solo aggiunto nuovi elementi al roster: sta cercando di disporre anche le migliori condizioni per far rendere al meglio chi a New York già c’era prima del suo arrivo.

Come Carmelo Anthony. Alle sue assolute doti di realizzatore (9/12 dal campo per 25 punti contro Miami) sta aggiungendo sempre più - e meglio - assist (4 mercoledì) e in generale la creazione di occasioni per i compagni. In generale, questa Regular Season, Anthony ha partecipato con gli assist al 20.2% dei canestri totali della sua squadra con lui in campo, ovvero la percentuale più alta per il prodotto di Syracuse dalla stagione 2011/12.

Per i Knicks, comunque, la cosa indispensabile è continuare a migliorarsi. E’ per quello che sono arrivati i nuovi giocatori, è per quello che il front-office e Carmelo Anthony hanno rifiutato tante proposte di trade negli ultimi anni, è per questo che lo stesso Melo ha rifirmato con NY dopo la sua free agency nell’estate 2014. Sarebbe infinitamente meglio ottenere una trentina di vittorie in questa stagione (che sarebbero comunque un salto dalle 17 dello scorso anno) e magari ottenere un piazzamento playoff in tutte le 3/4 stagioni successive che trovare la post-season la prossima estate per poi ri-precipitare nel baratro.