Sono passati poco più di dieci anni (era il 22 gennaio 2006) da quando l’uragano Kobe Bryant si è abbattuto sullo Staples Center di Los Angeles. In quella serata sfortunati spettatori non paganti furono i Toronto Raptors di coach Sam Mitchell. 81 punti con i quali il Black Mamba ha semplicemente messo su un manuale di pallacanestro 3D in tempo reale, regalando il repertorio al gran completo. Come pronosticabile, a Mitchell la faccenda non è esattamente andata giù. Le ceneri sono ancora bollenti seppure sia passato un decennio. L’attuale coach di Minnesota freme di rabbia (cestistica) al solo ricordo di quella partita. E, ovviamente, proprio quella partita tende ad essere ricordata piuttosto spesso quando si parla del 24 gialloviola.

Il coach non ha rotto il suo muro neanche due giorni fa, quando i suoi Timberwolves hanno affrontato per l’ultima volta (alla ventesima stagione) i Kobe. “Tutte le squadre hanno buoni giocatori” sono state le sue parole al riguardo. Risposta ancora più seccata quando all’ex giocatore di Montpellier è stato chiesto cosa pensasse della straordinaria prestazione (la seconda in assoluto in NBA per punti segnati), di Bryant in quella sera di dieci anni fa: “Potete chiedermi qualcos’altro?” ha chiesto stizzito guardando i giornalisti “Penso di aver risposto abbastanza a questa domanda negli ultimi cinque anni”.

Il suo orgoglio è però stato punito sul parquet: 38 punti e season-high del Black Mamba che ha guidato i suoi ad una vittoria per 119 a 115 dopo dieci sconfitte consecutive, salvando così i Lakers dal triste record della più lunga serie di partite perse nella storia della franchigia. Trentatré minuti sono bastati a Bryant per accendere la macchina del tempo e riportare indietro di parecchi anni il pubblico dello Staples Center: 7/11 dall’arco (non infilava così tante triple dal marzo 2008, 9, contro Memphis), 10/21 dal campo e 11/12 ai liberi. Ma soprattutto, Bryant ha guidato i suoi alla rimonta dopo il -16 dell’intervallo, segnando quattordici degli ultimi diciotto punti di squadra e più in generale 23 dei 46 punti totali dei suoi nel secondo tempo.

"Lo odio," ha detto Mitchell nel post-partita “spero di non vederlo mai più in campo, lo odio”. In risposta, Kobe ha riso dicendo “lo ringrazio per l’odio, lo apprezzo davvero. In verità, lo adoro”. Non solo, il prodotto di Lower Marion High School ha quasi minimizzato la sua prestazione, con il suo solito stile: “Ehi, cosa vi impressiona? Sono cose che faccio da vent’anni! Sono riuscito a mettere tutti i tiri che volevo mettere. Ho avuto occasioni a campo aperto e le ho trasformate. E quando questo succede, tendi ad entrare in ritmo e ti riescono anche i tiri leggermente più difficili”.

Eppure, quando nelle prime 17 uscite il Mamba teneva in piedi un misero 29.6 di percentuale dal campo, faticando a trovare i suoi movimenti tipici, qualcuno lo invitò addirittura ad anticipare il ritiro. Proprio per questo, nel post-partita a Kobe è stato chiesto se la prestazione di martedì sera avesse un gusto ancora più dolce, ma la risposta è stata no.

“Prendo il bene ed il male. Sono una persona che ha senso dell’equilibrio. C’è molto da imparare dalle partite brutte. Penso che siano molto difficili da superare, ma se lo fai e ti guardi indietro sembrano molto diverse, perché hai scoperto molto su te stesso. All’inizio della stagione mi sentivo molto ‘che diamine ci faccio qui?’, ma bisogna andare fino in fondo e trovare se stessi in queste situazioni. E quelle sono più soddisfacenti di partite come questa”.

A differenza del coach di Minnesota, nessuno tra avversari e compagni ha lesinato complimenti. “E’ il migliore della nostra generazione” sono state le parole di Andrew Wiggins (30 per lui martedì sera), “ha perfezionato il gioco della pallacanestro”. "Quando sarò vecchio, potrò dire ai miei bambini di aver giocato contro Kobe Bryant" ha invece detto ai microfoni il play spagnolo Ricky Rubio, autore di una doppia doppia da 10 punti e 15 assist.

"E’ stato un altro ‘momento Mamba’ da aggiungere alla collezione" è stata la campana di D’Angelo Russell, rookie dei Lakers che ha piazzato diciotto punti uscendo dalla panchina. "Dovrebbe esserci un museo fatto esclusivamente di ‘momenti Mamba’”. "In alcuni tiri ero tipo ‘come hai fatto?!’. Quasi incredibile, quando sei in campo e stai lottando è difficile capirlo, ma sai che sta facendo qualcosa di speciale”. Musica e parole del lungo Julius Randle, anche lui a segno con una doppia doppia da 15 e 12 rimbalzi.

Con sole 31 gare rimaste prima del ritiro, è davvero difficile dire quanti altri assi nella manica del genere possa avere Kobe Bryant. "Apprezzo il fatto che nei prossimi due mesi potrò avere occasione di rivedere queste cose” è stato il lapidario quanto devoto commento di coach Byron Scott.

In realtà, escludendo l’odio cestistico di Mitchell verso Bryant, i due hanno chiacchierato a lungo sorridendo prima dell’intervallo, col Coach che ha lodato l’etica del lavoro di Kobe, prendendola come esempio da far seguire ai suoi giovani.

I due si sono lasciati con un abbraccio e con la promessa di sentirsi presto. Bryant ha anche detto che capisce il ribrezzo dell’altro nell’affrontare il discorso di quel match: “Dieci anni fa gli ho fatto passare dei brutti momenti, e ci abbiamo anche scherzto e cose così. Ma, onestamente, quella notte non avrebbe potuto far molto. Semplicemente mi alzavo e tiravo sulla testa degli avversari. Fu una notte totalmente folle”. A questo punto sul volto del Mamba è apparso un ghigno malefico: “Ma continuo ancora a prenderlo in giro ogni sera in cui lo vedo”.