Il Pallone d'Oro del 2013 va a Cristiano Ronaldo. Secondo titolo personale per lui, dopo quello vinto durante l'apprendistato a Manchester. L'asse portante del Real Madrid, e punto di riferimento del calcio portoghese, si sbarazza così della concorrenza degli altri due papabili al titolo, Franck Ribery e Lionel Messi: al primo non è bastata l'abbuffata di trofei con il Bayern Monaco, al secondo è risultato indigesto il lungo stop per infortunio.

La premiazione ha confermato le quote e validato le percentuali ipotizzate dai bookmakers, sebbene restino vivi i mugugni e le critiche sollevate da più parti. Chi scrive si chiede come sia possibile che Zlatan Ibrahimovic, il Golia svedese che da solo ha trascinato alla vittoria il Psg, senza sfigurare - mettendo a tacere i suoi detrattori - in campo europeo, e riuscendo quasi a regalare il pass per il Mondiale del 2014 alla Svezia, non compaia neppure tra i tre candidati finali. Resta, dunque, la seguente domanda: prima che appenda gli scarpini al chiodo, il gigante di Malmö meriterebbe o no questo prestigioso premio internazionale?

Eppure Ibrahimovic non è un caso isolato. Sono tanti i fuoriclasse ad aver vinto tutto nella loro carriera tranne quel riconoscimento. Alcuni nomi, quelli eccellenti, i primi che ci vengono in mente: Ferenc Puskas, Franco Baresi, Oliver Kahn, Ryan Giggs. E ancora: Thierry Henry, Paolo Maldini, Alessandro Del Piero, Raúl.

Ferenc Puskas - C'è chi lo ha definito «il miglior calciatore ungherese di tutti i tempi». E c'è chi si è addirittura spinto oltre. Una cosa è certa: Puskas merita di sedere ai primissimi posti nel gotha del calcio. Bomber a tuttotondo (1156 reti in carriera), attaccante rapido, abile anche di testa, dotato di un controllo di palla elegantissimo. E quel tiro micidiale, pressoché infallibile, chirurgico. Dall'Ungheria alla Spagna, viaggio di sola andata. Parte dall'Honved per accasarsi al Real Madrid, tra una fuga dall’Ungheria, uscite non proprio impeccabili, amori e tradimenti, e una squalifica di due anni. Inizia la sua carriera segnando gol a raffica e non smetterà mai di farlo. Quel rapporto con il gol - come dichiarato più volte - lo ha ripagato di tutte le delusioni amorose. In Spagna resta 8 anni, vincendo praticamente tutto: 6 Campionati spagnoli, 1 Coppa di Spagna, 1 Coppa intercontinentale e 3 Champions League (consecutive). Il Real Madrid, quel Madrid, era imprendibile. Sia in campo nazionale che internazionale. Grazie soprattutto a lui. Resta indimenticabile il suo storico poker (ancora oggi record imbattuto) nella finale del 1960 con l’Eintracht Francoforte. Quell’anno il premio andò a Luis Suarez del Barcellona. Ma non c'è dubbio che se lo sarebbe meritato Ferenc.

Franco Baresi - Libero di ruolo (e di fatto). Lo chiamavano «kaiser Franz», per via della somiglianza nel ruolo e nel nome con Beckenbauer. Scartato dall'Inter ("E' troppo gracilino", dicevano di lui), esordisce non ancora diciottenne col Milan, di cui diviene capitano a soli 22 anni. Da quel giorno, per ben 716 partite ufficiali, porterà un solo numero di maglia: il 6 (ritirato a fine carriera). Capitano e architrave di quella squadra che, a detta di molti (addetti ai lavori e non), ha saputo rivoluzionare il modo d'intendere il calcio. Come poche altre nella storia. Il Milan di fine anni '80 e inizi '90 ha goduto sia dell'estro del trio delle meraviglie Van Basten-Rijkaard-Gullit che della leadership di Franco Baresi. Scudetti (6, più 2 Serie B) e coppe (4 Supercoppe, 3 Champions League, 2 Intercontinentali, 3 Coppe Uefa). Con la nazionale vince la Coppa del Mondo a Spagna ’82 (senza giocare un minuto), e ne perde una, a Usa ’94, dove in finale, nonostante l'operazione al menisco subita qualche settimana prima, si rende protagonista di una prestazione passata agli annali. Arrivò alle spalle di Marco Van Basten nella classifica del Pallone d’Oro 1989, e dietro Mattheus nel 1990, pur avendo vinto la seconda Champions di fila. Si fosse chiamato Franco Van Baresen, ne avrebbe messo in bacheca almeno uno. Ci possiamo scommettere.

Oliver Kahn - Portiere e capitano del Bayern Monaco e della nazionale tedesca. Soprannominato King Kahn o Titan non tanto per la sua statura fisica, quanto per quella forza e condizione mentale al limite dell'umano che lasciava trasparire già dallo sguardo. Inizia al Karlsruher SC, quindi passa al Bayern Monaco. E' cresciuto sotto la protezione di Sepp Maier. Vince tutto con il Bayern: Bundesliga, Coppe nazionali, Champions League (parando tre rigori nella finale contro il Valencia), Coppa Intercontinentale. Ha portato la compagine teutonica alla finale del Campionato del Mondo nel 2002, persa poi contro il Brasile. A livello individuale non sono mancati titoli e riconoscimenti: per quattro anni consecutivi, miglior portiere della Champions; ai Mondiali 2002, miglior portiere e miglior giocatore (unico portiere ad aver vinto un tale riconoscimento). Nel 2001 e nel 2002 ci regala le migliori prestazioni della carriera. Vittorie, titoli e riconoscimenti personali. Manca solo quel maledetto Ballon d'Or. Che non riuscirà mai a portare a casa, arrendendosi dinnanzi a Michael Owen e a Ronaldo, e classificandosi al terzo posto per ben due volte consecutive.

Ryan Giggs - Soprannominato The Welsh Wizard. Una leggenda che dura da 40 anni. Scoperto da Sir Alex Ferguson, è rimasto inebriato dai profumi di Manchester e si è promesso per sempre ai Red Devils, vincendo pure l'età anagrafica. Non esistono aggettivi che possano sintetizzare l'unicità di questo monumento vivente. Classe, tanta. Ingegno, troppo per i comuni mortali. Un sinistro d'oro, raro, vellutato. E quella fame di vittoria tipica dei campioni. Il tutto si è materializzato durante la semifinale di Champions League contro la Juventus nel 1999, quando prese per mano i suoi compagni di squadra e ribaltò risultato (da 2-0 a 2-3) e sorti di quella competizione. Di fatto, dopo quella vittoria epica, lo United conquisterà la Coppa dalle grandi orecchie. Con il Manchester ha vinto tutto ciò che c'era da vincere, sia a livello nazionale che a livello internazionale. Forse ha vinto fin troppo per i gusti della giuria di France Football, a tal punto da non comparire mai nelle top ten. Nel 2011 è arrivata la consolazione del Golden Foot. Ma il suo palmarés ha spazio solo per quel titolo impronunciabile.

Thierry Henry - L’attaccante transalpino è sinonimo di gol. Tra il Monaco (trampolino di lancio) e l'Arsenal di Wenger (squadra e allenatore autrici della sua consacrazione), si ricorda una piccola parentesi (negativa) vissuta all'ombra della Mole, dove sembrava aver smarrito il fiuto del gol. Sembrava, appunto. Perché con il passare degli anni, di stagione in stagione, ha dimostrato di essere una macchina da gol, infallibile sotto porta. E' uno dei più prolifici attaccanti degli ultimi anni e, statistiche alla mano, il miglior marcatore della storia dell'Arsenal. Per questo, deve molto, se non tutto, ad Arsene Wenger. Sotto la guida del tecnico francesce, ha preso coscienza delle sue potenzialità, trasformandosi nell'Henry che ha deliziato la critica e ha messo a tacere le critiche, portando se stesso e i Gunners al sucesso. Da protagonista assoluto. Quando ha capito che era giunto il momento di cambiare aria, ha scelto il meglio del meglio. Si erano cercati, Henry e Guardiola, e a lungo voluti. A Barcellona ha rivestito sempre il ruolo da protagonista, formando insieme a Messi ed Eto'o il tridente d'attacco più profilico di sempre nella storia della Primera División. Poi è arrivata anche la tanto agognata Champions League. «Henry? Meritava, ma non è colpa mia», commentava così Cannavaro durante la premiazione a Parigi. L'anno giusto per Thierry, purtroppo, non è mai arrivato.

Paolo Maldini - Figlio d'arte e del Milan. Ha indossato la maglia rossonera per tre decenni e ne è stato il simbolo. Dopo Baresi, viene lui. Ha vinto tutto (26 trofei, di cui 13 in campo internazionale). Tutto col Milan, nulla con la maglia azzurra. Sarà stato questo il motivo per cui France Football non gli ha mai consegnato il Pallone d'Oro? Crediamo di no, visto che ci sono tanti esempi di premiati che hanno fatto faville col proprio club ma non si sono distinti con addosso la cassacca della nazionale. Eppure Paolo Maldini aveva tutte le carte in regola per conquistare quel premio. Nel 1994 vinse la Champions per la terza volta nella sua carriera, dopo aver vinto anche lo scudetto ed essere arrivato secondo ai Mondiali (perdendo solo ai rigori contro il Brasile). Il Pallone d'Oro, però, andò a Hristo Stoickov, umiliato per 4-0 nella finale di Atene. Non basta il numero di trofei sollevati? Ecco allora alcuni record personali inanellati: quello di presenze in Serie A (647) e in UEFA (174), e quello assoluto di minuti giocati ai Mondiali (2.216) e di finali di Champions League disputate (8, a pari meriti con Francisco Gento). Numeri, record, trofei. E un sogno irrealizzato. C'est la vie.

Alessandro Del Piero - Dici Del Piero e pensi alla Juventus, dici Juventus e pensi a Del Piero. Gran fuoriclasse e, allo stesso tempo, grande uomo. Con la squadra di Gianni e Umberto Agnelli ha vinto sette scudetti (1995, 1997, 1998, 2002, 2003, 2005, 2006) e quattro Supercoppe (1995, 1997, 2002, 2003). Nel 1996 alzò al cielo la Champions League, segnando gol decisivi e da autentico fuoriclasse. Ma il Pallone d'Oro se lo aggiudicò Matthias Sammer, un discreto difensore del Borussia Dortmund, proprio quel Borussia Dortmund sbeffeggiato sul campo dallo stesso Del Piero e dalla Juventus di Marcello Lippi. Nulla da fare: Del Piero non vincerà più quel titolo. Anche perché, a distanza di due anni, ad Udine, subirà un gravissimo infortunio che segnerà definitivamente la sua carriera. Il 1998, per lui, sarà lo spartiacque tra Godot e Pinturiccio. Da una parte, prima dell'infortunio, l'attacante tutta rapidità, tecnica e freschezza atletica; dall'altra, dopo quell'incidente, e la conseguente assenza prolungata dai campi, Godot lascerà il posto a Pinturicchio: alla rapidità in parte perduta, Del Piero saprà supplire con la tecnica, quella, sì, rimasta intatta. E le vittorie, sia personali sia di squadra, a dispetto della marea di critiche, non si son fatte attendere.

Raùl Gonzalez Blanco - Attaccante tecnico, veloce e con un innato senso del gol. Senz'ombra di dubbio, uno dei migliori calciatori spagnoli degli ultimi decenni. La sua carriera incomincia a Madrid, sponda Atletico. Prima con le giovanili, mettendosi in luce segnando 65 reti in una sola stagione, poi con i cadete. Dall'Atletico al Real, il passo è breve. Così come è facile essere idolatrato, se sudi e vinci per la camiseta, o considerato un reietto, se risparmi anche solo una goccia di sudore. A lui è toccata la prima sorte. Ad appena 26 anni si è guadagnato la fascia da capitano del Real Madrid, diventando così il più giovane capitano di sempre delle merengues. Oggi è considerato uno dei tre giocatori più importanti nella storia del club, insieme ad Alfredo di Stefano e Zinedine Zidane, ed è tuttora il miglior marcatore della Primera Divisiòn ed il terzo della Liga. È anche il miglior marcatore della storia delle competizioni ufficiali della FIFA (con ben 77 gol) e della Champions League (71 gol). Record di 143 presenze nelle Coppe Europee. Record di partite disputate (741) con il Real Madrid. Record di gol fatti (323) dalla fondazione del club. Dal 2000 al 2003, Raùl ha disputato le migliori stagioni in assoluto, vincendo due volte la Liga (di cui è stato anche Pichichi), due volte la Champions League (segnando in due finali diverse) e venendo eletto miglior attaccante della competizione continentale per tre volte consecutive. Nel 2001 si è classificato secondo, dietro a Michael Owen, nella corsa al Pallone d’oro. Ci chiamassimo Raùl, avremmo già fatto ricorso.