La rincorsa al Pallone d'Oro non è ancora iniziata e potrebbe essere già finita. I candidati secondo i nuovi parametri della FIFA non possono che essere quattro: Lionel Messi (ormai una garanzia, entra di diritto nei finalisti), Cristiano Ronaldo (impossibile non citarlo dopo un anno del genere) ed uno tra Thomas Müller e Manuel Neuer (protagonisti della formidabile armata tedesca durante l'ultimo Mondiale brasiliano).

Tolti i due extraterrestri il terzo finalista sarà un tedesco (impossibile non portarne nemmeno uno), con il portierone di Gelsenkirchen in vantaggio sul rapace centrocampista/attaccante nato a Weilheim. Prendendoli in esame uno ad uno, diamo un'occhiata ai pro e ai contro dei quattro candidati, procedendo in ordine inverso secondo il nostro pronostico, dal meno quotato al favorito.

Thomas Müller: l'outsider

Perchè sì: autentico lavoratore e straordinario tuttofare sia nel Bayern sia in nazionale

Inutile nasconderci dietro ai fatti, la solidità e la cinicità del #25 del Bayern Monaco sono impressionanti, nessuno al mondo, tolto un certo argentino nato a Rosario che viene impiegato come mezz'ala sinistra, garantisce un contributo così sostanzioso per il bene suo e della squadra a livello quantitativo e qualitativo (pressing, recuperi, ripartenze, smarcamenti, assist, conclusioni). Un autentico tuttofare mai soddisfatto delle proprie prove, come dimostra l'ultimo Mondiale disputato (in ottica futura il record stabilito da Klose rischia di essere demolito, a 24 anni vanta già 10 gol nel torneo più importante al Mondo) a ritmi commoventi per tutta la durata dei singoli turni. A consolidare il suo status ci sono una Bundesliga ed una Coppa di Germania vinte grazie ai suoi gol, su tutti quello che ha ucciso la finale secca a Berlino contro il Dortmund.

Perchè no: non abbastanza famoso a livello mediatico e non molto esaltato dai contesti dove è inserito

Ebbene sì, bisogna guardare in faccia alla realtà, l'asso tedesco non gode a livello mediatico di quelle attenzioni riservate ai grandissimi (la stessa motivazione ha danneggiato Ribery l'anno scorso), che attorno a loro muovono una quantità impressionante di soldi, sia essi derivati da pubblicità o da presenze extracalcistiche. Mueller incarna nel proprio DNA il prototipo del tedesco medio, punta dritto all'essenziale, con gli eccessi e le distrazioni evitati almeno inizialmente, concessi solo a traguardo ottenuto. A farne crollare le speranze tuttavia è la nomea, non è particolarmente amato per i suoi modi di fare ed il suo stile di irregolare non è esteticamente perfetto e adatto per attirare nuovi voti. Inoltre i sistemi di gioco che lo coinvolgono sfruttano a pieno i suoi punti di forza ma non lo esaltano particolarmente rispetto agli altri (al suo posto potremmo benissimo fare l'esempio di Philippe Lahm o di Bastian Schweinsteiger, ma anche di Toni Kroos, per fare tre nomi), difficile dunque una sua seria candidatura per la vittoria finale, più probabile ma non per questo certo un suo approdo tra i primi tre.

Manuel Neuer: la sorpresa

Perchè sì: sicurezza e serietà, accompagnate da un presenza scenica agghiacciante

Intimidatore dominante, conquistatore e trascinatore allo stesso tempo, queste le credenziali con cui si presenta il #1 tedesco, in grado di giocare a livelli monstre (assolutamente disumani, già tranquillamente paragonato ai migliori di sempre nel suo ruolo) da diverse stagioni ormai, considerando soprattutto la giovane età per un portiere, (28enne, garantisce tranquillamente altri 7-8 anni a grandi livelli considerando la continuità di rendimento), ed in linea di massima anche per un libero, perché, inutile negarlo, in nazionale quello è il suo secondo ruolo. L'imbarazzante facilità con cui ha gestito la linea a 4 della Mannschaft nella kermesse mondiale è stata a dir poco sbalorditiva: sempre pronto a rimediare agli errori dei compagni, sempre deciso, sempre duro (talvolta troppo), sempre vincente.

Perché no: difficoltà ad assegnare un premio del genere ad un portiere, per quanto monumentale possa essere

Si arriva sempre ad affrontare il solito discorso: potrà mai un portiere (specialmente nelle ultime due decadi, dove abbiamo potuto ammirare le gesta dei vari Romario, Zidane, Ronaldo, Roberto Carlos, Shevchenko, Cannavaro, Ronaldinho, Kakà, Cristiano Ronaldo e Messi) affermarsi sopra tutti? Prendere la scena, conquistare le luci della ribalta? Purtroppo non abbiamo dei dati oggettivi in grado di risolvere l'enigma, ma difficilmente potrebbe essere credibile davanti ai vertici UEFA e FIFA, dove anche nei loro spot e nei loro servizi lasciano trapelare più volte il fatto che debba essere un attaccante o al massimo un centrocampista il vincitore dell'ambito premio. Appare difficile sulla carta per l'estremo difensore delle Aquile ripetere l'eroica affermazione di Jašin, anche perché (purtroppo o per fortuna, sta a voi deciderlo), siamo nel 2014 e non nel 1963, e nell'immaginario collettivo un gol segnato vale più di un gol salvato.

Lionel Andrés Messi: la garanzia

Perché sì: inventa calcio e risolve di peso le partite, talento purissimo indiscutibile

Classe, eleganza, leggerezza, ma anche prepotenza (sportiva s'intende), determinazione e responsabilità. Lionel Messi probabilmente è lo sportivo con più pressione addosso assieme a LeBron James: sempre alla ricerca di un traguardo, di un nuovo record, sempre più difficile da raggiungere. Sia chiaro, la sua storia non aiuta certamente ad alleggerire le leggende metropolitane che si sentono sul web, sui giornali e in televisione, ed il continuo paragone con Maradona lo eleva e non poco agli occhi del mondo e ne rafforza continuamente il suo già formidabile status. A prescindere dai giudizi personali però non possiamo esimerci davanti alle straordinarie doti della Pulga, croce e delizia e colonna portante (per non dire principale) di una delle più vincenti squadre di tutti i tempi, il Barcellona fondato sul tiki-taka. I suoi numeri non stiamo nemmeno a discuterli, segna 40 o più gol da cinque stagioni consecutive, senza contare i numerosi assist e le giocate decisive per mandare in porta i compagni, fate vobis...

Perché no: reduce dalla peggior stagione in carriera, deludente col Barca e con l'Albiceleste

Gli zeru tituli ottenuti nel 2014 non sono un problema (lo ha dimostrato CR7 l'anno scorso), le prestazioni sì. L'annata appena conclusa l'ha visto diverse volte sottotono (addirittura fischiato dai propri tifosi al Camp Nou nell'ultima di Liga, nella finale contro l'Atletico), quasi alla ricerca di se stesso, spaesato, avulso dalla trama corale dei Blaugrana e dal sacrificio della Selección, se a ciò aggiungiamo anche una sempre più rimarcata apatia durante le partite (clamorosamente anche negli appuntamenti più importanti) troviamo la chiave di lettura necessaria per comprendere lo stato di forma psicofisico dell'argentino, che in linea di massima potrebbe sentirsi appaggato dalle innumerevoli serie di vittorie degli anni passati. Se a ciò aggiungiamo un sempre più complicato rapporto con la nuova dirigenza catalana (velenosa la dichiarazione: "Se non vado più bene a loro posso cambiare aria") e l'imminente ricambio generazionale sia a livello di club che a livello di nazionale troviamo la soluzione del giallo: Messi è grande, grandissimo, ma non è un leader dello spogliatoio, non è una persona in grado di caricarsi sulle spalle una squadra (caratterialmente parlando, tecnicamente non stiamo nemmeno a discutere), ed è questo la grande differenza che lo separa da Maradona in patria e dai vari Zubizarreta, Cruijff, Xavi e Puyol in Catalogna. Il suo eccessivo talento spesso lo ha preceduto e gli ha consentito di ottenere trofei individuali perlomeno discutibili (Pallone d'Oro 2010 e Pallone d'Oro dei Mondiali 2014) e, francamente, questa tendenza potrebbe innervosire alla lunga e causare reazioni poco dignitose.

Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro: il condottiero

Perchè sì: Champions e non solo, nessuno meglio di lui nel 2014

Dopo il Pallone d'Oro 2013 conquistato da comandante (così definito dal presidente della FIFA Joseph Blatter), il fuoriclasse lusitano ha rivestito il ruolo del condottiero nel 2014. Arriva probabilmente dalla sua migliore stagione in carriera, culminata nei Blancos con l'agognata Decima (oltre alla Coppa del Re ed alla Supercoppa UEFA, in attesa di quella spagnola e del Mondiale per club), dopo anni e anni di tentativi andati a vuoto, sempre sul più bello, sempre ad un passo dalla meta. E' indubbio che il 2014 è stato individualmente l'anno del fuoriclasse di Funchal, Pichichi (31 gol) e Scarpa d'Oro (la sua terza, ottenuta a pari merito con Luis Suárez), oltre al record di gol nella fase finale di Champions League (17 reti in 11 presenze, abbattuto il precedente primato che apparteneva ex-equo a Messi ed Altafini, fermi a quota 14). Difficile, se non impossibile, immaginarsi una macchina da gol più letale del fuoriclasse portoghese: segna indifferentemente di destro, di sinistro, di testa, di tacco (sontuoso l'ultimo gol in Liga, rifilato al Valencia allo scadere al Bernabéu per acciuffare il pareggio), sottoporta, dalla distanza, su punizione, a giro, di potenza, di precisione, ed i 50 o più gol segnati negli ultimi quattro anni ne sono la dimostrazione. Da premiare inoltre la determinazione e la maturazione, dopo anni di dominio Messi, è riuscito a riconquistare il Ballon d'Or per la seconda volta dopo il 2008, con tanto di lacrime sincere durante la premiazione (leviamo le simpatie/antipatie, un duello del genere tende ad abbattere psicologicamente il meno vincente), sintomo di un lavoro encomiabile, allenamento dopo allenamento, senza mai farsi notare per comportamenti extracalcistici a differenza degli anni passati.

Perché no: Mondiale deludente, non sempre decisivo

La grande delusione della fase a gironi dei Mondiali è sicuramente attribuita al Portogallo di Cristiano Ronaldo, nazionale sulla carta quasi obbligata a passare il primo turno. Sebbene da un Pallone d'Oro in carica ci si attenda logicamente qualcosa di importante, le attenuanti al #7 di Madeira non mancano di certo, dato lo stato tutt'altro che eccellente del suo ginocchio sinistro (sottoposto a sforzi eccessivi dal ritorno degli ottavi di Champions in poi) e la condizione abbastanza rivedibile della sua nazionale, a livello di infortuni (oltre al suo quello del compagno di club Coentrão), squalifiche (Pepe) e scelte tecniche (presentarsi con tre prime punte che rispondono al nome di Hélder Postiga, Hugo Almeida ed Éder non aiuta di certo). L'altra grande critica che i detrattori gli rifilano sono le prestazioni negli scontri decisivi, sia in Liga (ha steccato il doppio confronto con gli Azulgrana e l'andata contro i Colchoneros) che in Champions, dove dopo un girone disputato a ritmi impressionanti (9 gol in 5 partite) con gol determinanti, ha sempre segnato a risultato acquisito se si esclude l'andata del quarto di finale contro il Borussia Dortmund.

I diversi pro e contro elencati in precedenza ci fanno propendere sempre di più sul terzo successo del portoghese, davanti al rivale di sempre e ad un tedesco. Da tenere d'occhio anche la situazione riguardante il Pallone d'Oro degli allenatori, probabile un successo di Joachim Löw (che renderebbe omaggio alla spedizione tedesca in Brasile), davanti al nostro Carlo Ancelotti (conquistatore della Decima) e al "Cholo" Diego Pablo Simeone, protagonista indiscusso della formidabile cavalcata dell'Atletico Madrid campione di Spagna e finalista di Champions League.

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Rubens Mari
Liceo Scientifico, giornalista sportivo, seguo calcio europeo e basket NBA, quattro fedi sportive: Inter, Chelsea, Real Madrid e Boston Celtics.