Non è il miglior momento del Real, anzi. Dallla batosta del Calderon, il Madrid non sembra essersi ripreso. La Liga non passa più per le mani dei bianchi, il clasico incombe e i quattro gol dello Schalke scatenano l'ira del pubblico esigente del Bernabeu, eppure Ancelotti è Ancelotti, sempre. Non cambia, di fronte agli eventi, perché sono proprio gli eventi a forgiarne il carattere, a renderlo diverso, vincente. 

L'indole si affina con gli anni, la capacità di resistere alle ondate negative è figlia di smacchi e battute d'arresto, la pioggia di Perugia, l'incredibile Champions sfumata a Istanbul. Colpi da K.O, momenti di crescita. "A Perugia non avrei potuto far nulla di diverso, comandava il maltempo, ma non posso rimproverarmi molto nemmeno in quella sfida col Liverpool. Dissi le cose giuste, avevo messo in guardia la squadra sulla possibile rimonta del Liverpool, in tifosi inglesi ci credevano anche all'intervallo, sotto di tre gol".

Al termine del cammino, il sapore dolce della rivincita, una vittoria che sa di catarsi "Speravo tanto di ritrovare il Liverpool in finale, lo volevamo tutti. C'è un destino, dovevamo vincerla noi, quella coppa. E questo nonostante per Gerrard avessi un'ammirazione infinita... cercai di portarlo un anno al Milan, ma fu impossibile. Di Istanbul, comunque, alla fine non ho un ricordo negativo. Ho semplicemente un ricordo". Dal Liverpool alla Juve  "La finale di Manchester nel 2003 mi ha cambiato la carriera, prima avevo solo un campionato vinto a Reggio Emilia, e avevo ottenuto secondi posti a Parma e con la Juve. Non fu una soddisfazione personale battere la mia ex squadra all'Old Trafford, ma non ne potevo più di essere l'eterno secondo".

Il Real Madrid, almeno quello che vive il campo, che si allena, ama Ancelotti, per la capacità di dialogo, per la propensione ad affrontare con calma e tranquillità ogni aspetto. Ancelotti e il rapporto con i giocatori, il giusto approccio con le stelle come viatico per i buoni risultati "La relazione coi propri giocatori è la cosa più importante, conta molto più di quella col presidente. Se non c'è feeling coi tuoi ragazzi, sei un uomo morto. Qualcuno la chiama amicizia, io lo chiamo semplicemente rispetto, anche se mi piace ridere e scherzare con loro. Poi le persone intelligenti sanno quando è il momento di tornare seri. Chi mi definisce 'troppo buono' mi fa arrabbiare, perché non è vero".

L'Italia è una possibilità, ma Ancelotti è restio ad accettare un impegno a singhiozzo. La Nazionale comporta una vita lontana dalla quotidianità, a strappi. Il problema paventato da Conte spaventa anche Ancelotti "Sì, mi piacerebbe guidarla, un giorno. Ma prima devo perdere la voglia di allenare tutti i giorni. Ogni 12 anni l'Italia fa una finale del Mondiale, ne vince uno ogni 24... quindi è tutto pronto per il 2030".