Ancora una volta, come già capitato svariate volte, ci troviamo di fronte, quando si parla di Calcio e di Leo Messi, davanti alla Grande, enorme, Bellezza del gioco. L'arte del mancino di Rosario si accosta, nella notte di Tbilisi, a quella del Pibe nato a Lanus nel lontano 1960. La premessa, tuttavia, è sempre d'obbilgo in questi casi e serve a sgombrare il campo da qualsivoglia tentativo di paragone, perché nessun raffronto va fatto, che sia esso tecnico, tattico o di altro genere. Bisogna osservare, con attenzione, poi godere e gioire. 

Al minuto sette, con il Barça sotto già di un gol, quello di Banega, Messi ha sul mancino, da posizione diametralmente opposta a quella del compagno albiceleste nella spedizione cilena, l'occasione per impattare subito. Non sbaglia. Il gesto, ciononostante, è di un'altra categoria: il destro di Banega è un montante che si spegne alle spalle di Ter Stegen; il sinistro di Messi una carezza, quasi impalpabile, che si spegne in rete coccolando soltanto i montanti della porta difesa da Beto. Poesia, punto. 

Il gesto lo si ammirerà in tutte le salse, da tutte le inquadrature possibili ed immaginabili, rievocando, nella mente dei più, la prodezza che qualche tempo addietro uscì dal piede altrettanto vellutato del Pibe de Oro. Il nastro va riavvolto, tornando allo Stadio San Paolo quando Diego Armando Maradona, contro i rivali storici della Juve che arrivavano da otto vittorie consecutive nell'inizio del campionato 1985/86, beffò Tacconi da una posizione alquanto impossibile. Epoche diverse, storie diverse, avversari e valenza quasi opposte: il tocco, la piuma, il buffetto è sempre lo stesso. 

Colpo secco, piede sinistro che quasi torna indietro innauralmente per dare alla sfera quella traiettoria beffarda. Un lob innaturale: estasi. 

Certo, numerose sono le analogie, come molte sono anche le differenze: Leo ha effettutato la sua punizione su un prato dall'erba verde scintillante, Diego in un pantano reso ostile ai più da un acquazzone; Messi ha colpito da fermo mentre Maradona si avvalse del tocco di Eraldo Pecci; infine, la posizione di partenza facilita il gol del dieci del Barça, mentre l'azzurro dovette crearsi la magìa da posizione insensata. 

Da Napoli a Tbilisi i chilometri e le stagioni che separano le due prodezze sono innumerevoli, ma la magìa del calcio è anche questa: unire e rendere sempre moderna l'emozione di un gol, anche se deve scomodare assurdi accostamenti che rischiano soltanto di avvelenare la magnificenza dei due gesti.