Il solito Cile di Jorge Sampaoli parte come meglio non poteva nel raggruppamento sudamericano delle qualificazioni verso i Mondiali di Russia 2018. Dopo quindici anni la Roja, impegnata allo Stadio Nacional di Santiago, batte il Brasile di Carlos Dunga, sfruttando le reti nella ripresa, a venti minuti dal termine, di Eduardo Vargas e di Alexis Sanchez. Vittoria che ha il retrogusto di vendetta sportiva per quanto accadde in Brasile non più tardi di un anno e mezzo fa. Cade ancora, dunque, dopo la recente delusione della Copa America disputata proprio nella lingua di terra sudamericana, la squadra plurititolata verdeoro, che denota ancora una volta mancanza di spina dorsale e, forse, anche della giusta umiltà per rimettersi in gioco dopo le recenti sconfitte.

Il Cile di Sampaoli si presenta con il classico 3-4-1-2, con Medel centrale di difesa ed ai suoi lati Silva e Jara. Valdivia dietro alle punte Sanchez e Vargas, con Vidal che gioca a tutto campo, a tratti da incontrista, a tratti da mezzala che si inserisce tra le linee. Dunga si affida tra lo stupore generale ad Elias in mediana, lasciando Fernandinho in panchina. C'è Oscar, che con Douglas Costa e Willian compone la linea di trequartisti alle spalle di Hulk, centravanti.

L'inerzia della vittoria della Copa America spinge, assieme alla passione del tutto esaurito del Nacional, la Roja ad imprimere subito un ritmo forsennato al match: i padroni di casa si fanno pericolosi sfruttano la buona vena di Sanchez, che con i suoi strappi crea sempre pericoli nella titubante difesa verdeoro. Isla è il solito pendolino puntuale sulla destra, anche se in fase di non-possesso soffre e non poco le ripartenze del Brasile. La squadra di Dunga resiste alle prime occasioni cilene alzando un muro composto da se uomini davanti alla porta di Jefferson e ripartendo in velocità sugli esterni. La verdeoro si affida soprattutto alla catena di sinistra, dove Marcelo si sovrappone unendosi allo scatenato Douglas Costa, sicuramente il migliore dei ventidue in campo nella prima frazione. L'ex Shakhtar, attualmente al Bayern, crea scompiglio nella trequarti cilena, prima che i vari Oscar e Willian sprechino le occasioni che si presentano sui loro piedi.

E' principalmente il trequartista del Chelsea a deludere, sia per imprecisione in passaggi e nei controlli, che per supponenza. Il Brasile tuttavia fa la gara, con il Cile che non riesce a sostenere i ritmi dei primi dieci minuti di gioco: Hulk ci prova da fermo ed in movimento, senza mai trovare però i pali della porta di Bravo. L'attaccante dello Zenit viene spesso imbeccato palla tra i piedi, ma è quando attacca lo spazio che trova il varco propizio: Costa lo serve in profondità ed il suo sinistro da posizione molto defilata viene controllato dal portiere del Barcellona in due tempi. Sampaoli vede che qualcosa non va sulla catena destra della sua difesa e decide di cambiare: dentro Mark Gonzalez, fuori Silva, per un 4-4-2 molto più equilibrato e compatto. Negli ultimi cinque minuti di primo tempo, la fiammata Roja: Sanchez sfrutta una incursione del neo entrato per calciare dal limite, con la sfera che supera Jefferson ma incontra solo il palo alla destra del portiere verdeoro, strozzando l'urlo del vantaggio al popolo cileno.

Il cambio tattico da nuova linfa ai cileni, che sono meglio posizionato in campo e riescono, in fase propositiva, a mettere maggiore paura alla retroguardia di Dunga, orfana dell'infortunato David Luiz che lascia il posto a Marquinhos. La squadra ospite, tuttavia, non assume un atteggiamento remissivo, bensì guardingo ed attento nelle retrovie, che prova a piazzare la zampata in contropiede appena possibile: lo occasioni, infatti, arrivano puntuali, con il Cile che si sbilancia troppo spesso attaccando con foga e con fin troppi effettivi. Sampaoli si espone alle ripartenze velocissime di Willian e Douglas Costa, che però incontrano sulla loro strada un Oscar davvero inguardabile: scelte sbagliate, fatte con lentezza ed indecisione, non permettono ai verdeoro di sfruttare al meglio le occasioni, che sfumano senza sporcare i guantoni di Bravo.

Il Cile si ricompatta e manovra con maggiore oculatezza ed il cambio di Mati Fernandez al posto di un Valdivia poco ispirato e mobile, cambia il volto al match. Il mediano della Fiorentina entra subito nel vivo del match, procurandosi delle preziose punizioni che sono spine nel fianco della difesa dei pentacampeao. Dal piazzato al minuto 72 nasce il vantaggio della Roja: Vargas taglia alla perfezione sul primo palo, anticipando Marquinhos ed uno sfinito Luiz Gustavo (che andava cambiato anzitempo), girando di destro al volo dove Jefferson non può arrivarci. Il vantaggio galvanizza spettatori e protagonisti in campo, che continuano a macinare gioco tenendo a debita distanza la squadra di Dunga dalla propria area di rigore: l'unico a provarci è il nuovo entrato Ricardo Oliveira (si, lo stesso del Milan di qualche anno fa), che sfiora il pareggio su assist di Willian, prima di mandare a lato un paio di conclusioni dal limite. Gol mangiato, gol subito: la dura legge del gol punisce i brasiliani, che capitolano a pochi secondi dal termine quando Sanchez spezza in due la retroguardia, scambiando con Vidal e piazzando la zampata decisiva a pochi passi dalla linea di porta.

Successo meritato da parte del Cile di Sampaoli, che conferma, in questo momento storico, di essere semplicemente una squadra perfetta, che gioca ad un ritmo controllato per tutta la gara senza concedere particolari occasioni agli avversari prima di accendersi in folate che risultano spesso irresistibili per i dirimpettai di turno. Di contro un Brasile ancora senza mordente e spina dorsale, che non riesce ad immedesimarsi nelle sue difficoltà e nei suoi limiti, e che stenta a diventare una squadra umile ed operaia, che le permetterebbe, forse, di tornare quantomeno a fare risultato. Oscar il peggiore di serata, simbolo di una nazionale priva di grinta e cattiveria agonistica. Particolare menzione va a Dunga, che con la sua calma serafica non riesce a trasmettere, praticamente mai, la giusta carica adrenalinica per scuotere i suoi: perde la sfida con il dirimpettaio Sampaoli, che cambia a suo piacimento l'assetto tattico della squadra, di fronte all'immobilismo del verdeoro. Da una parte c'è un condottiero, che plasma a sua immagine e somiglianza la propria Seleccion, dall'altra l'immagine della caduta della grande nobiltà brasiliana.