"Dodici milioni dì euro per uno che ha fatto bene un solo anno in Serie B?" È vero che in ltalia non ci sono più i soldi di un tempo, ma i nostri dirigenti italiani, attanagliati da questo interrogativo, si sono fatti portare via un fenomeno da incoscienti, dimostrando che, oltre che della grana, siamo poveri di idee. Il 18 luglio 2012, sfruttando l'indecisione generale, Nasser Al-Khelafi porta così alla sua corte parigina il giovanissimo Marco Verratti, playmaker eccezionale del Pescara di Zeman, preso per mano e condotto in Serie A. Un colpo poco sponsorizzato visto che il Paris Saint-Germain degli sceicchi è abituato ad acquisti ben più altisonanti e a campioni all'apice della carriera.

Eppure lui si dimostra già più che una promessa, in una squadra zeppa di top player può benissimo dire la sua. Ancelotti se ne accorge subito e gli affida, insieme a Matuidi, le chiavi della zona nevralgica del campo. Il tecnico emiliano rivede in lui il genio di Andrea Pirlo. Di lui Marco ha il ruolo, la visione di gioco, l'abilità nel palleggio e la personalità. Le analogie, però, non si fermano qui: entrambi devono il loro successo a due mister, Mazzone e Zeman, che, in giovanissima età, lì hanno spostati dalla trequarti alla zona davanti alla difesa, rendendoli quello che adesso sono. Il metronomo juventino è, però, croce e delizia del centrocampista abruzzese: né Prandelli né Conte riescono a farli coesistere in campo, e il secondo finisce, quasi sempre, in panchina a discapito del più illustre collega. In una Nazionale poverissima di talenti, come forse pochissime volte nella sua storia, il suo talento più giovane non riesce a farsi spazio. Un paradosso tutto all' italiana, specialmente se pensiamo che, per precisione nei passaggi eseguiti, il ragazzo rasenta la perfezione (90%), piazzandosi dietro solo al mago Xavi (96%). Sarebbe l'ora di ritagliargli un posto da titolare, senza se e senza ma.

Quando un calciatore non è adatto a giocare in mezzo al campo, si dice che "ha la testa pesante", rimprovero che mai potrebbe essere rivolto a Verratti. Lui gioca sempre a testa alta, tenta la giocata, non butta mai via la palla nemmeno quando viene pressato. Dirige il gioco come un vero maestro. Se dobbiamo trovargli un difetto, è quello del cartellino facile, che, per uno con la sua "garra ", finisce per comprometterne il proseguio  del match per paura di lasciare in dieci i compagni di squadra. Anche ieri, forse, l'ammonizione ha influito sul cambio con Rabiot. Con delle ali come Hazard, fulmine di guerra, il rischio di essere infilati in contropiede era troppo alto e Laurent Blanc, allenatore giovane ma già navigato, sapeva che aveva bisogno di qualcuno che non si facesse troppi scrupoli a mettere la gamba. Solo così si può spiegare la sostituzione di quello che, ormai, è riconosciuto universalmente come uno dei migliori interpreti del ruolo al mondo. Adesso le italiane lo rivorrebbero tutte, specialmente a quella modica cifra. Troppo facile dirlo adesso, dopo l'exploit parigino. Il ragazzo, però, nonostante la dichiarata fede juventina, ha dichiarato a più riprese di non volersi muovere da Parigi, né tanto meno il club è disposto a privarsene. "E adesso ridateci la Gioconda!"