Rewind, torniamo indietro all'estate 2011, Cesc Fàbregas approda (o sarebbe meglio dire ritorna) in terra catalana per 40 mln di euro, nella sua Barcellona, nel suo Futbol Club Barcellona, lasciato otto anni prima per tentare la sua prima esperienza inglese, conclusasi non nel migliore dei modi, ma complessivamente positiva per la sua maturazione calcistica ma soprattutto umana.

"Una strada in discesa, un campione che si integrerà perfettamente in un sistema dove è nato, sarà un piacere per gli occhi vederlo dialogare senza problemi con i compagni", questa l'opinione sulla bocca di tutti i principali addetti ai lavori: andrà diversamente, e si concluderà malamente, anche la sua esperienza con la sua squadra del cuore, lasciata a giugno 2014.

Francesc "Cesc" Fàbregas Soler nasce regista, in mezzo al campo. Necessita rigorosamente almeno di un mediano vecchio stampo al suo fianco, in grado di correre e far legna anche per lui. Con il suo passaggio al Barcellona del suo idolo d'infanzia Pep Guardiola, la sua collocazione all'interno dello scacchiere Blaugrana è sempre stata in discussione, inutile negarlo.

Passa un primo periodo d'assestamento generale partendo dalla panchina, mentre nei suoi primi mesi riesce addirittura a stupire in un ruolo mai stato suo, quello di prima punta, falso nueve (vincerà un Europeo nel 2012 con la Roja giocando in quello spot), dove segna diversi gol importanti, che permettono agli Azulgrana di restare incollati in Liga al Real Madrid di José Mourinho.

Ma alla lunga i difetti emergono: da regista a falso nueve, alternando anche periodi da trequartista e addirittura da ala sinistra in sporadiche apparizioni, il futuro non poteva certo essere garantito, specie se devi levare dall'11 titolare gente del calibro di Xavi, Iniesta e Busquets (fondamentale per tenere un minimo di equilibrio) a centrocampo, e Pedro, Sánchez, Neymar e Messi in attacco. Emblematica l'ultima giornata della Liga BBVA 2013/2014, dove il nativo di Arenys de Mar viene surclassato dai fischi dei 90 mila del Camp Nou, rivoltatosi al momento della sua uscita.

A giugno, dopo nemmeno un mese dalla fine della stagione Blaugrana, arriva la chiamata tanto attesa, la chiamata della Premier League. L'Arsenal pareva essere in vantaggio (forte di un vincolo contrattuale pattuito nel 2011), ma Arsène Wenger, suo mentore per otto lunghi anni, decide di non procedere ad intavolare una trattativa e lascia la carta vincente in mano al Chelsea del suo arcinemico Mourinho, uno che non si fa pregare due volte in linea di massima.

Detto fatto, dopo un colloquio di circa 20 minuti, Cesc Fàbregas accetta di trasferirsi a Londra, questa volta per giocare a Fulham Road, a Stamford Bridge. La sua decisione viene ufficializzata prima del mondiale brasiliano (terminato presto e male per le Furie Rosse) , accordo da 33 mln di euro che fa impazzire i sostenitori dei Gunners, che, sentendosi traditi, iniziano a bruciare magliette degli anni passati con il suo nome sulle spalle (in simil Cleveland-LeBron James nel 2010, ma parliamo di un altro sport e di un'altra dimensione).

Molti sono i dubbi circa la sua collocazione in una squadra piena zeppa di ali/fantasisti come Hazard, Schürrle, Oscar, Willian e Salah, ma Mourinho non ci pensa su, segue la linea tracciata anni prima dal voyeur e lo piazza in mezzo al campo, in un centrocampo a 2/3, affiancato da uno o più uomini di sostanza (Matić e Ramires), a seconda della situazione e dell'avversario (da non escludere, come già successo, un inserimento arretrato di Oscar). E' deciso però il suo impiego, agirà in mezzo al campo, da centrale, niente esperimenti, niente falso nueve, niente trequartista, niente ala sinistra, Mourinho vuol vincere, possibilmente sin da subito, possibilmente senza stravolgere troppo i suoi dogmi.

I primi riscontri sono decisamente positivi (imposta alla perfezione e detta i ritmi di gioco contro Burnley, Leicester ed Everton registrando diversi assist fondamentali), che sia l'inizio della sua definitiva esplosione? Ci aggrappiamo a questa speranza, una nuova speranza...