"Sentirsi come un bambino". In questa affermazione c'è tanto di José Mourinho, un innamorato folle del calcio, un allenatore capace di unire e dividere come nessuno, o si ama alla follia o si detesta. Semplicemente Mourinho, nel suo ritorno al successo, sotto la pioggia battente che investe Londra e trasforma nella classica battaglia inglese la finale di Coppa di Lega tra Chelsea e Tottenham. L'immagine che incastona la giornata giunge al termine, Mourinho sdraiato sul prato bagnato, vestito di tutto punto, a toccare il trofeo, il primo dopo diversi mesi, con la squadra alle spalle, un gruppo. 

Il concetto base del Chelsea è nell'unità di intenti, è il concetto primo di Mourinho, fissato a Stamford Bridge da un decennio, dai tempi della prima apparizione londinese, e poi trasportato a Milano, sponda Inter. Il secondo mandato del comandante Josè si apre con una stagione di apprendistato, d'altronde è nel personaggio l'anno di analisi. La seconda è quella delle vittorie, degli aggiustamenti. Fabregas e Diego Costa, un regista e un killer d'area di rigore, quel che mancava. Perfetto Mourinho.

Il resto è un lavoro mentale, un processo continuo, ininterrotto, far sentire ognuno parte integrante, anche Drogba, il leone stanco, gettato dentro nel finale. Didier è al centro del campo quando Taylor fischia tre volte e sancisce il ritorno alla gloria del Chelsea, e idealmente l'ivoriano ringrazia José, il suo mentore. La partita a quel punto è decisa da tempo, aperta da Terry, uno che c'era ai tempi del primo Mourinho, chiusa da Diego Costa, con la complicità di Walker. Da lontano, tra i pali, applaude Cech, un segnale a Courtois, un premio alla professionalità. Poco spettacolo, gol e pragmatismo, zero licenze al rischio e allo show, è il Chelsea, è Mourinho.

Il Tottenham è in uno sprazzo di Eriksen, il resto è noia e storia scritta. Mourinho lavora ai fianchi nel pre-partita, immagina e scrive lo spartito nelle ore che precedono il match, poi colpisce, piazza il gigante Zouma nel mezzo, inibisce e riparte coi suoi folletti d'attacco. Tutti conoscono il Chelsea, in tanti criticano il gioco, o non gioco, dei blues, in pochi possono permettersi il lusso di superare l'undici di Mou. Questione di mentalità, di forza, oltre la tecnica, che comunque abbonda ovunque.

Non è il titolo che aspetta Mourinho, la Coppa di Lega è un inizio, la Premier il secondo tassello. Il City si incarta, Mourinho ringrazia e mantiene il vantaggio, senza giocare. Vede il campionato farsi più vicino, per la doppietta, poi c'è la Champions, la sua casa. Lì lo aspetta il ritorno, in casa, il Psg è avversario da prendere con le pinze, ma Mourinho è pronto, alla guerra, mediatica e di campo, è il suo habitat, scherzare, irridere, mettere in scacco, poi sciogliersi, perché in fondo è un bambino, elegante, feroce, vincente, ma pur sempre un bambino che insegue con lo sguardo il pallone.