Nessuno ha diviso il mondo del calcio in due come lui negli ultimi anni: da una parte i tifosi delle squadre che ha allenato, che lo adorano, e dall'altra gli avversari, quelli che lui definirebbe sportivamente nemici, che lo detestano. D'altronde Josè Mourinho non è mai stato uomo da mezze misure: diretto, sicuro di sè al limite dell'arroganza, con il gusto della polemica, antipatico o da amare a seconda dei punti di vista: uno così è destinato a dividere, c'è poco da fare. D'altronde tutto ciò è il suo pane quotidiano, è ciò che gli permette di tenere l'adrenalina alta e la spia della sfida da vincere sempre accesa, elementi che forgiano un carattere che è, probabilmente, il punto di forza di questo carismatico allenatore e delle sue squadre. Fu lui stesso, ai tempi dell'Inter, a parlare di "rumore dei nemici", riferendosi alle polemiche che qualcuno riservava al gioco della sua squadra. Perchè Josè Mourinho è questo, è uno che si nutre della sfida di dover sconfiggere un "nemico", ancor meglio se valoroso. Come lo erano le avversarie di questa Premier, tutte costrette a inchinarsi con 3 giornate d'anticipo: un Arsenal finalmente quadrato e cinico, un Manchester City dal parco attaccanti formidabile, uno United che in estate non aveva badato a spese per tornare competitivo. Ma ha vinto il suo Chelsea, dominando dall'inizio alla fine, senza perdere uno scontro diretto, non perdendo una partita di Premier dal match di Capodanno con il Tottenham. 

Gli anti-Mourinhiani avevano sorriso, dopo il primo digiuno in carriera della scorsa stagione, ma Mou li ha subito zittiti, con una formidabile doppietta, perchè il Chelsea, quest'anno, mette in bacheca anche una Coppa di Lega, vinta battendo il Tottenham in una finale senza storia. 

Perchè tutto si può dire di Mourinho, si può dire che non è simpatico, si può dire che le sue squadre sono solide e ciniche, ma non incantano come quelle di Guardiola o Klopp, ma su una cosa nessuno sportivo può obbiettare: Mou è un vincente, forse l'emblema dell'allenatore vincente in assoluto. In 15 anni di carriera solo una volta è rimasto all'asciutto, raccogliendo la bellezza di 22 trofei, molti dei quali al limite dell'epico. Le pagine firmate con Inter e Porto rimarranno leggenda: il Triplete coi nerazzurri è ancora negli occhi degli italiani e lo rimarrà per sempre, Mou affiancherà per sempre Helenio Herrera nel cuore dei tifosi interisti, alla guida di una squadra protagonista della classica stagione perfetta, eliminando le più forti squadre di quella Champions, dal Chelsea al Barcellona dominante di quel periodo, fino al Bayern in finale. Coi Dragoes, forse, il vero capolavoro: altro Triplete e, soprattutto, altra Champions, alla guida di una squadra su cui neanche il più ottimista avrebbe puntato un euro a inizio torneo.

Quello di ieri è il terzo titolo inglese con il Chelsea, in un campionato, come detto, pieno di antagoniste fortissime. Il primo nel 2005, quando, dopo un attesa lunga 50 anni, Stamford Bridge tornava ad essere il centro nevralgico del calcio inglese, e i Blues si avviavano a diventare la realtà attuale.

Altro capolavoro nella stagione 2011-2012, alla guida del Real Madrid. E' una Liga su cui da anni vige la dittatura del Barcellona di Guardiola, imbattibile, autentico incubo madridista. I Blancos di Mou riesco nell'impresa di dominare quella Liga, con il punteggio record di 100 punti, espugnando e zittendo il Camp Nou con uno storico 2-1, sotto i colpi di Kedhira e CR7. Un Camp Nou che in quegli anni sembrava fortino inespugnabile, costretto a inchianarsi ancora, dopo l'impresa da allenatore dell'Inter, di fronte alla truppa del generale Mou. 

Tutto ciò senza contare gli altri trofei, quelli "normali", o che sembrano tali quando a vincerli è uno così. Uno che è abituato a firmare imprese speciali. Semplicemente: The Special One.