Non sempre il calcio e tutto quanto ruota attorno ad esso è foriero di storie felici. Quella di Donato, per tutti Denis, Bergamini in effetti lo era, fino a quando il ritrovamento del suo cadavere gettò nello sconforto due famiglie: l’una formata dai suoi cari, l’altra dalla Cosenza calcistica che lo ha subito accolto nella propria cerchia affettiva. A 24 anni esatti dalla sua morte, avvenuta il 18 novembre 1989, chi gli ha voluto bene chiede rabbiosamente ma dignitosamente chiarezza su una vicenda sin dall’inizio molto nebulosa, e solo negli ultimi anni si sta indagando seriamente per conoscere la verità. Per amore della stessa verità e della giustizia, e per buona pace di Denis e di tutti i cuori che hanno sempre conservato un posto per lui.

Un’esigenza che fa quasi passare in secondo piano il rammarico per l’interruzione di un percorso calcistico che prometteva grandi palcoscenici per Bergamini, perno inossidabile nel centrocampo del Cosenza di Gianni Di Marzio prima e di Bruno Giorgi poi. Nato ad Argenta (Ferrara) il 18 settembre 1962, Bergamini disputa le sue prime stagioni in serie D con Imola e Russi, prima di cogliere, con merito, la grande occasione del salto tra i professionisti, in C1 con il Cosenza nell’’85. Con l’andare degli anni sedimenta la sua importanza nello scacchiere rossoblù oltreché il grande affetto presso compagni e tifosi, che ben presto lo ergono ad idolo della curva.

Potrebbero aprirsi per lui le porte per il palcoscenico della massima serie, nonostante la grande delusione di una storica promozione in serie A mancata per la sola classifica avulsa. L’estate ’89 è assai gratificante per Bergamini, su cui molte squadre del massimo campionato mettono gli occhi. Alla fine arriverà un’offerta dal Padova, anch’esso in serie B, ma Denis, blindato a sua volta dalla dirigenza rossoblù con il rinnovo del contratto, decide di rimanere in Sila, lottando a fronte alta contro le difficoltà e uscendo ogni domenica con la maglia inzuppata di sudore.

Il quadro positivo della carriera di Denis Bergamini, però, verra ben presto oscurato da un tunnel improvviso e inspiegabile, che finirà per abbrancarlo e sottrarlo ai suoi affetti, al suo Cosenza, ai suoi compagni, alla sua gente e alla sua concezione pura e genuina dell’esistenza, basata sul “mi piace vivere” (famosa frase tratta da un’intervista e adottata da molti come slogan riassuntivo della sua figura).

LA VICENDA – Le prime avvisaglie di questo tunnel si presentano già alcuni giorni prima di quel maledetto sabato 18 novembre. Il 13 novembre, un lunedì, usuale giorno di riposo per i calciatori, è a casa dei suoi genitori, a Boccaleone di Argenta, quando viene raggiunto da una misteriosa telefonata: una conversazione concisa, di cui non si saprà mai il contenuto, dopo la quale Denis riprende il pranzo con i suoi cari visibilmente scosso. Tre giorni più tardi, giovedì 16 novembre, al telefono con l’attuale compagna, si lascia andare ad un piccolo sfogo parlando di qualcuno che gli voleva male. Un’altra telefonata sospetta arriva sabato 18, quando la squadra, allora guidata da Gigi Simoni, si trova in ritiro al Motel Agip di Cosenza alla vigilia della gara interna col Messina; è il primo pomeriggio, stavolta sono i suoi compagni più stretti, come Michele Padovano (campione d’Europa con la Juventus nel ’96), a notare che qualcosa che non va.

Un preambolo, questo, non soltanto necessario per contestualizzare l’evento della morte di Bergamini, ma anche utile a considerare dinamiche che non si esauriscono nella disgrazia in sé, ma potrebbero essere legate alla criminalità locale; opzione sostenuta con forza dall’ex calciatore e scrittore Carlo Petrini nel suo “Il calciatore suicidato”, libro d’inchiesta sulla morte di Bergamini realizzato nel 2001, contenente tra le altre cose interviste sia al padre di Donato, Domizio, sia a Padovano, che era insieme a lui in camera quando Donato ricevette l’ultima telefonata: le versioni dei due riguardo alcuni dettagli importanti prima e dopo la morte del ragazzo risultano discordi, e sulla figura dell’ex juventino sono stati sollevati alcuni dubbi, ma per non staccarci troppo dalla vicenda proseguiamo con il racconto.

Quell’ultima telefonata arriva nel primo pomeriggio, poco dopo Denis e i suoi compagni si recheranno al cinema come da rituale per le vigilie delle gare interne. La comitiva fa tappa quindi al cinema “Garden” di Rende, dove Denis, pur non risparmiando mai il proprio sorriso verso i compagni, continua a denotare un certo disagio, prendendo posto un paio di file avanti rispetto al gruppo. Prima che la riproduzione del film abbia inizio, il centrocampista Galeazzi, altro compagno molto legato a Denis, lo vede raggiungere l’uscita dalla sala andando verso due persone ignote, non individuate per via delle luci soffuse (dichiarazione a Sky in occasione di un servizio realizzato nell’agosto 2011).

Denis lascia il cinema “Garden”, è l’ultimo posto in cui viene visto dai suoi compagni. Di lui non si hanno più notizie alla sera di quel sabato, quando viene rinvenuto morto in una piazzola di sosta della strada statale 106 Jonica, all’altezza del Comune di Roseto Capo Spulico. La fine della sua giovane vita si consuma davanti agli occhi della sua ex, Isabella Internò, e alla sua Maserati bianca. Questo il nocciolo dell’accaduto, sulle modalità tuttora si cerca di trovare la versione reale, e non senza difficoltà e discordanze.

Eppure nei primi tempi la morte di Denis viene superficialmente archiviata come “suicidio”, secondo le prime ricostruzioni effettuate e la versione di Isabella. La relazione tra Denis e lei è iniziata poco dopo il suo arrivo al Cosenza, chiudendosi definitivamente alcuni mesi prima di quel giorno.

Alle forze dell’ordine dichiarerà che Donato, ormai dopo la fine della loro storia, l’ha contattata in quanto doveva dirle delle cose importanti; una volta prelevata a casa sua in macchina, avrebbe preso la strada statale 106 Jonica in direzione di Taranto e poi rivelato le sue intenzioni ad Isabella: imbarcarsi e lasciare l’Italia, stanco del Paese e voglioso di fuggire. Di fronte al diniego della ragazza, Denis si sarebbe gettato sotto le ruote di un accorrente camion carico di merci, guidato da un tale Raffaele Pisano (inizialmente imputato per omicidio colposo, poi assolto perché non sussisteva il fatto); secondo il successivo rilievo del brigadiere Barbuscio (arrivato sulla scena successivamente al fatto), che qualche minuto prima aveva fermato la coppia per un controllo di routine, il camion avrebbe trascinato il corpo del povero Donato per 60 metri circa prima di terminare la propria corsa e sbalzarlo sul ciglio della strada. Tutto ciò, stando alle dichiarazioni dell’unica testimone oculare e delle ipotesi degli inquirenti, è riassumibile appunto sotto un’unica, laconica, parola: suicidio.

Gli affetti di Bergamini sono pervasi dal dolore, la Cosenza calcistica e non precipita nello sconforto, e alcune ore più tardi la squadra di Simoni sconfigge lo choc e sfodera una prova d’orgoglio contro il Messina al “San Vito”, vincendo per 2-0. E’ finita la vita di un ragazzo perbene, ma non può finire la ricerca della verità, nemmeno quando i fascicoli d’indagine vengono accantonati negli armadi. Lo vuole l’amore per Denis, lo richiedono la voglia della verità, lo suggeriscono la logica e il buonsenso:

1 - Se la dinamica dell’accaduto avesse rispecchiato fedelmente quanto affermato dalla Internò, il corpo di Bergamini, trascinato per 59 metri secondo la successiva ricostruzione del brigadiere Barbuscio, adesso deceduto, sarebbe rimasto distrutto: difficile confidare in danni non eccessivi alla struttura fisica dopo il trascinamento per una tale distanza sotto un mezzo di per sé pesante, che trasportava, stando a quanto affermato dal legale della famiglia Bergamini, 134 quintali di mandarini. Eppure il corpo di Denis era praticamente integro, escludendo la parte degli organi genitali, brutalmente mutilata. Il tuffo in strada di Bergamini e il successivo investimento da parte del camion vengono confutati anche dallo stato dell’orologio, della catenina e delle scarpe che il ragazzo indossava al momento del presunto incidente: il padre Domizio non ne ha riavuto indietro i vestiti (subito fatti incenerire) ma è comunque riuscito a recuperare, grazie all’ausilio di uno dei due magazzinieri del Cosenza (il quale, dopo avergli promesso di raccontare la verità sul caso di Denis, morì insieme al proprio collega in un incidente stradale sulla stessa strada in cui perì il giocatore), i suddetti oggetti, i quali anch’essi sono rimasti pressoché intatti.

2 - L’autopsia del cadavere denota che la morte di Bergamini è avvenuta per arresto cardiaco, dissanguamento e schiacciamento del torace (nel corpo, come detto sopra, si notano tagli all’altezza del bacino, e non si rinvengono segni di lesione dovuti al trascinamento sull’asfalto). Quella sera, inoltre, su Roseto Capo Spulico pioveva e l’asfalto sui bordi non percorsi della strada era parzialmente coperto da fango, mentre sulle suole delle scarpe del giocatore non è stato trovato nessun residuo di terriccio, pietrisco o fanghiglia.

3 - Dopo il “suicidio” Isabella, con la Maserati del ragazzo, sarebbe corsa in un bar del paese per informare le prime persone di riferimento della morte di Denis. La Internò non era sola, bensì accompagnata da un uomo, che esortò in maniera piccata il titolare del locale a mettere a disposizione il telefono per la ragazza in quanto aveva fretta. Una delle persone contattate fu Gigi Simoni, raggiunto al Motel Agip, il quale ricevette la triste notizia per poi darla al resto della squadra, come rivelato dallo stesso ex tecnico di Inter e Cremonese in un’intervista a Fantagazzetta dello scorso aprile.

Sommando queste analisi e riflessioni, appare molto chiaro come sia difficile metabolizzare la morte di Denis attribuendola ad un suicidio. Donato Bergamini sarebbe finito (usiamo ancora il condizionale, ma tra poco ci saranno i presupposti per l’indicativo) sulla piazzola di sosta della strada statale 106 Jonica (e quindi sotto le ruote dell’accorrente camion, che lo avrebbe schiacciato ma non trascinato procedendo a velocità molto lenta), già privo di vita, ucciso da percosse in un altro luogo, probabilmente per motivi sentimentali e sempre con l’ipotesi da non trascurare, come detto sopra, del coinvolgimento della criminalità locale. Una perizia eseguita nel '90 dal professor Francesco Maria Avato conferma inoltre la tremenda esecuzione intuibile dalle suddette mutilazioni: Denis sarebbe stato evirato e fatto morire dissanguato.

Nel ’94 la questura di Cosenza chiede la riapertura del caso, la procura di Castrovillari apre un’indagine contro ignoti, ma che non dà riscontri concreti e viene presto archiviata. Le carte della vicenda rivedranno, però, definitivamente la luce nel giugno del 2011: la stessa procura di Castrovillari, su impulso del procuratore capo Franco Giacomantonio, riapre l’inchiesta, sollecitata da una memoria di 208 pagine accuratamente redatta dal legale della famiglia Bergamini, Eugenio Gallerani (con la componente più incisiva legata alla condizione del corpo dopo il presunto investimento, di cui avevamo parlato sopra). L’ipotesi del suicidio cade definitivamente dopo i rilievi fatti dai carabinieri del RIS di Messina, i quali confermano che Denis era già morto quando è stato abbandonato sulla statale 106.

Lo scorso 15 maggio, nell’ambito dell’inchiesta riaperta due anni fa, i carabinieri del Comando Provinciale di Cosenza hanno notificato un avviso di garanzia ad Isabella Internò, indagata per concorso in omicidio volontario. La stessa Internò, tra l’altro, proprio oggi sarà sottoposta ad interrogatorio, seguendo di alcuni giorni il conducente del camion che travolse Bergamini, Raffale Pisano, indagato invece per favoreggiamento e falsa testimonianza ai magistrati, con il solo primo reato caduto in prescrizione.

A 24 anni esatti dalla sua morte, c’è sempre maggiore fiducia nella possibilità che Denis Bergamini possa avere giustizia. Il cammino verso la verità è ancora tortuoso, ma molto meno buio come lo è stato negli scorsi anni, con la strenua lotta del padre Domizio, della madre Maria, della sorella Donata e di tutti coloro che, anche non avendo mai conosciuto personalmente Denis, hanno deciso di sposare la loro causa. Soprattutto negli ultimi tempi a Cosenza si sono susseguite le manifestazioni di solidarietà e sensibilizzazione sulla vicenda, che si sono anche concretizzate in associazioni, come “Verità per Denis”, fondata nel suo paese natale, Boccaleone di Argenta, il 18 aprile 2010. Sabato scorso, la tifoseria cosentina ha abbracciato la famiglia di Denis, accorsa al “San Vito” per Cosenza-Chieti, e ha sfilato con un appassionato corteo per le vie della città dopo l’incontro. Inoltre, alle 18.01 di oggi sarà il sito www.denisbergamini.com, pagina di chiaro omaggio al giocatore che fungerà anche da contenitore riassuntivo sulle calde vicende giudiziarie di questo periodo.

In quella carriera stroncata in maniera così improvvisa e ancora dura da accettare, vi è ragione di pensare che Denis coltivasse dei legittimi sogni di gloria, per esempio arrivare a quella serie A che nel mondo terreno ha potuto solo guardare da lontano.

Ebbene, c’è il tempo per dargli una piccola gioia restituendogli quello che rimane, ovvero un epilogo giusto. Sarebbe un risultato straordinario per chi ha sofferto, lottato e dato ogni forma di contributo per arrivare alla veritá. E se spesso nelle partite di calcio chi segna punta l’indice in senso di riconoscenza a chi lo ha servito, il giorno in cui la verità sarà venuta fuori in molti a Boccaleone di Argenta e a Cosenza alzeranno gli occhi per uno sguardo d’intesa con Denis Bergamini.

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