Una palla che rotola, lungpo strade impolverate, bambini che corrono, inseguendo un sogno, in campi arruffati con quel che c'è, preparati con giacche, bottiglie, quel che passa insomma al convento, l'importante è giocare, diventare qualcuno. Nel Sud che sbocchi ne offre in quantità limitata, il calcio è una boccata d'ossigeno, un modo per crescere, scappare, correre alla ricerca di una vita migliore. Antonio Floro Flores è un figlio dell'Italia meno abbiente, scugnizzo di Napoli, innamorato del calcio fin da ragazzo. Il calcio è la sua àncora di salvezza, riversare le energie e il tempo nell'allenamento per evitare quel che il "mercato" ti porge comodamente sulla mano, una vita di illeciti. 

Eppure, anche il calcio può riservare sorprese negative, pagine nere, da cancellare. Nel racconto di Floro Flores, lo stralcio di un passato pesante, all'alba di una carriera calcistica oggi segnata dalle luci della Serie A "Avevo 10-11 anni quando sono entrato per la prima volta in una scuola calcio, l'Atletico Toledo. L'idea di essere vincolato a un allenatore e a degli orari mi dava fastidio. I miei lavoravano, ma la ditta di mio padre stava per fallire e i soldi per la scuola calcio erano troppi. Ma dopo che mi avevano visto giocare, gli dissero che non c'erano problemi. Ricordo che poi non passò molto tempo e saltò fuori che l'allenatore era un pedofilo. Me la rivedo ancora la scena, mentre stavamo giocando, la marea di carabinieri che è arrivata. Così tornai a giocare per strada".

Da lì al Posillipo, poi a Napoli. Floro Flores cresce al Sud poi diventa cittadino d'Italia. Veste le maglie di Sampdoria, Perugia, Arezzo, Udinese, Genoa e Sassuolo, nel mezzo l'esperienza spagnola al Granada, società satellite dell'Udinese del Patron Pozzo. Il volto da eterno ragazzo, le rughe che raccontano il trascorso e una storia, 31 anni, fatti di viaggi, sogni, realtà, partendo dal fatiche adolescenziali. 

"Sono arrivato alla terza media e quel diploma mi è stato regalato. La mia strada era il calcio, cosa andavo a fare a scuola? Era un ostacolo e sono sicuro che per il 99% dei ragazzi a Napoli sia ancora la stessa cosa. Il primo sogno il calcio, non ci sono altre strade. Ricordo la volta che un prof voleva parlare con mio padre e io avevo paura perché sapevo che poi a casa le avrei prese. Ma quando dissero a papà che avrebbe dovuto vietarmi di giocare, lui rispose: "Con che alternativa? Morire ammazzato o in galera?". Adesso mi viene da sorridere, penso al posto dove giocavamo. Me le ricordo le sparatorie, noi ragazzini che correvamo via e ci nascondevamo".

Floro Flores si mette a nudo, ma è un grido di speranza, non un monito di paura. La rete ribolle e riporta le sue parole, l'attaccante pone un freno, spiega e illumina "La mia intervista è stata travisata. Non è vero che ho subito un trauma per l'episodio dell'allenatore pedofilo, quell'uomo non mi ha mai toccato. La scena del suo arresto in campo la ricordo bene, ma posso dire di essere cresciuto nel calcio senza subire violenze e costrizioni. Il mio è unp sprono a non abbandonare i libri, io ho avuto fortuna, in tanti restano delusi. Io stesso sto provando a rimediare". 

Calcio, libri, sudore, il segnale di Floro Flores, una felicità da conquistare, una vita da vivere, in pieno.