In principio fu la Roma. Correva la stagione 2005-2006; in tv ancora nessuno aveva mai sentito parlare di tiki taka, tanto meno di falso nueve. E' stato Luciano Spalletti ad ideare per primo quella filosofia di calcio che, appena un lustro dopo, sarebbe stata discussa nei salotti dei talk show di settore come la più grande innovazione del Barcellona di Pep Guardiola. L'allenatore di Certaldo decise che, nel suo 4-2-3-1, il vertice offensivo sarebbe stato Francesco Totti, tutto fuorché un centravanti. Erano ancora gli anni di Inzaghi e Trezeguet, quelle in cui l'attaccante-boa, lì davanti, doveva toccare appena due-tre palloni a partita, possibilmente convertendoli in gol. Spalletti decise che bisognava togliere punti di riferimento agli avversari, dando al capitano la licenza di spostarsi su tutto il settore offensivo, incaricandosi di tutte le fasi della manovra: conquista del pallone, ingresso in area, assist, e, ovviamente, gol.

A fare del falso nueve un mito globale sono stati però i blaugrana di Guardiola (famoso per la citazione: "Il nostro miglore attacco è lo spazio"): con loro, è nato quel nuovo modello di calcio fatto di trame asfissianti di passaggi orizzontali, con tanti movimenti senza palla e il vizio di "entrare dentro la porta col pallone". Nel 4-3-3 che ha vinto praticamente tutto quello che si poteva vincere, il cosiddetto terminale offensivo era Messi, quella Pulce che, tra i suoi tanti meriti, non ha certo quello di essere un centravanti tradizionale. E ancora, nel 4-3-3 del Real Madrid di Ancelotti, dopo l'acquisto di Bale, con lui e Di Maria ai lati, al centro dell'attacco non c'era Benzema, ma Cristiano Ronaldo. Per il suo ruolo naturale, si vedano i discorsi fatti in precedenza su Totti e Messi.

Quello del falso nueve è rimasto un fenomeno prevalentemente spagnolo, mentre in Italia, tra imitazione e reinterpretazione del modello, si è un po' persa una connotazione offensiva precisa. Si prenda come esempio la Juventus di Conte, che ha impostato tutti i suoi successi su un pressing martellante e tanto sacrificio, con tutti i giocatori a lavorare per l'organico e i singoli che raramente entravano nelle prime posizioni della classifica marcatori. Non a caso, la Juve dei primi due scudetti era la squadra che mandava in gol più giocatori, senza che nessuno superasse i 15 gol: i vari Matri, Vucinic, Quagliarella, Vidal, si assestavano sempre intorno a quota dieci. Il miglior attacco della competizione veniva raggiunto per somma algebrica di tanti numeri. Le cose sono cambiate, quanto a statistiche, con l'arrivo di Tevez, un fenomeno assoluto, ma non un centravanti: uno che si va a prendere la palla dalla difesa, che fa gioco, si inserisce, parte da fuori area, ha una conclusione al fulmicotone anche dai 30 metri. Così la Roma, che ha ereditato l'antico retaggio di Spalletti, ha schierato fino all'era di Garcia Totti come prima punta, ma con 10 anni di più, segnando, nel bene o nel male, il destino del club capitolino. O ancora, la Fiorentina di Montella, famosa per un calcio di stampo spagnolo, con Rossi a fare la prima punta non naturale. Tutte le altre hanno impostato un attacco ibrido, con punte alla Icardi, marcatori con buon fiuto del gol, sempre però nel vivo del gioco.

La stagione 2015-2016 ormai alle porte sembrerebbe però segnare un'inversione di tendenza, ed una più precisa definizione delle manovre offensive nella riscoperta del centravanti moderno. Quattro squadre, per fare un esempio su tutte, si stanno indirizzando (o lo hanno già fatto da un paio di stagioni!) verso questo assetto: la Juventus di Mandzukic, la Roma di Dzeko, il Napoli di Higuain e il Verona di Toni. Tutti calciatori un po' "all'antica", bravi a giocare dentro l'area di rigore, forti di testa, di grande presenza fisica. Nel match di Supercoppa italiana vinto 2-0 contro la Lazio, Mandzukic era stato quasi impalpabile, fino a quando, al 69', è stato servito dalla destra da un preciso cross di Sturaro. Grande incornata e 1-0. Proprio come Trezeguet: nessun allenatore si sognava di cambiarlo, anche se toccava zero palloni, perché prima o poi avrebbe segnato. Oggi, invece, la tendenza sembra quella di "punire" con la doccia prematura il giocatore, anche attaccante, che non entra sempre nel vivo della monovra. Tante però anche le differenze tra il centravanti moderno e quello tradizionale: su tutte, che il primo non è totalmente estraneo al gioco; non è una boa insomma, ma deve svolgere tutto il lavoro che permette alla squadra di salire, dal controllare palla spalle alla porta e smistare al defilarsi per andare a prendere i palloni e dare il via all'azione d'attacco. Uno alla Ibra insomma: fisicità pura, ma anche tanta tecnica. Uno che segna e al tempo stesso fa segnare i compagni. Quel tipo di giocatore che la serie A sta progressivamente riscoprendo, e che promette, a breve, di rialzare l'asticella dei gol segnati, portando le statistiche anche a 25 marcature stagionali.

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