E' soltanto martedì, ma Juventus-Napoli è già iniziata: nelle menti dei giocatori, degli allenatori, degli addetti ai lavori e, soprattutto dei tifosi. Corsi e ricorsi storici, precedenti, emozioni e curiosità tengono banco, oltre alle solite polemiche da bar, in questa caldissima vigilia dell'evento che catalizzerà il weekend calcistico dell'Italia della Dea Eupalla. Allo Juventus Stadium si scenderà in campo per conquistare una fetta di Scudetto, forse, oltre a confermare una striscia vincente che significherebbe lanciare, sportivamente, il guanto di sfida all'avversaria, e attestarne probabilmente le velleità di classifica. 

Tanti i duelli che si vedranno sul prato di gioco dell'impianto torinese, a partire dalla sfida di stili tra portieri, tra ermeticità e due impianti difensivi oltremodo diversi per composizione e qualità, due reparti di centrocampo discretamente simili per individualità e, infine ma non per importanza, dalla sfida che vedrà Higuain e Dybala salire al proscenio per trascinare le rispettive squadre alla vittoria. Tuttavia, Juventus - Napoli si gioca anche negli spogliatoi, prima della gara, dove i capipopolo aizzeranno i propri compagni a dare il massimo nel rettangolo di gioco in quei novanta e passa minuti. 

Quest'oggi, nella prima tappa di approfondimento di Vavel Italia al match, Andrea Bugno e Giorgio Dusi si confrontano sul tema della leadership, che in campo e fuori per entrambe le squadre e per i propri allenatori diventa di fondamentale importanza per le sorti di partenopei e piemontesi: Gigi Buffon da una parte, fondamentale uomo squadra e collante nelle stanze di Vinovo; dall'altra Gonzalo Higuain, trascinatore a modo suo, in campo, a suon di gol. Perché leader non vuol dire solo saper tenere sulla corda la squadra, non significa soltanto calciare o parare un rigore, ma è tanto, tantissimo altro. 

Andrea Bugno: "Dovessi descrivere la leadership di Higuain partirei sicuramente da una precisazione: l’argentino non è il leader carismatico dello spogliatoio partenopeo, lo è bensì tecnicamente, in campo, dove si carica spesso le fortune degli azzurri sulle spalle. Più volte, nel corso di questi anni, lo abbiamo visto frustrato e deluso, affranto per l’incedere degli eventi esterni che condizionavano oltremodo i risultati della squadra. Lo ricordo al primo anno di Benitez, però, piangere a dirotto per l’eliminazione dalla Champions dopo un girone clamoroso: 12 punti non bastarono; Higuain non bastò al Napoli, creatura nuova e vergine a quei palcoscenici, delusa e ferita da una vittoria che non riuscì a porre rimedio ad alcune sbavature precedenti.

Higuain è il novello Caronte che, tutt’altro che passivamente, trascina i compagni verso il successo, la gloria, il Paradiso: adesso che il Napoli c’è vicino si sta affidando in campo a quello che era Maradona per Bagni e compagni nell’87 e nel ’90. Inevitabile che in campo cerchi chi con uno sguardo, con un movimento, ti da carica e fiducia: nel caso le cose dovessero andar male, ci pensa comunque Higuain. Quest’anno lo stiamo ammirando in tutto il suo splendore, in tutta la sua straripante classe, nel suo clamoroso talento che, unito alla sete di vendetta sportiva dopo le delusioni della scorsa stagione e alla carica adrenalinica fornitagli da Sarri, gli hanno permesso di imporsi per il centravanti che realmente è e che quasi mai ha dimostrato di essere: indemoniato, furioso, straripante.

Non è la quantità dei gol che fa, ma la qualità degli stessi che certificano uno stato mentale pressoché onnipotente: lo si è visto contro la Juventus all’andata, lo si è visto nella foga della rubata a Ilicic ed il conseguente gol del 2-1 alla Viola, lo si è visto nella fame di gol e record che il Pipita vuole raggiungere, personalmente ma soprattutto di squadra. “I record non servono a nulla se poi non si vince niente” ha commentato domenica dopo la vittoria sul Carpi: maledettamente vero. Higuain in un solo anno può cancellare svariati primati: attenta al record di Cavani di 29 marcature; al titolo di capocannoniere e a quello della scarpa d’oro che, seppur effimeri, dalle parti di Fuorigrotta sono imprese tutt’altro che consuete; al miracolo sportivo firmato da Nordahl di 35 gol, che nel calcio d’oggi, soprattutto in Italia ed in Serie A, sarebbe un risultato incredibile.

Il Pipita ritrovato lo si vede, infine, nella generosità di lasciare un rigore ad Insigne a Genova, senza tralasciare lo spirito di gruppo dopo un assist o dopo una giocata dei compagni, oltre che nella convinzione di andare a calciare un rigore decisivo contro il Carpi dando un calcio definitivo a quegli spettri che aleggiavano sopra la traversa della porta davanti alla Curva B dallo scorso maggio. Il Pipita è tornato. Higuain è rinato, eletto leader tecnico di una squadra che punta dritto verso un traguardo a dir poco storico".

Giorgio Dusi: "Dovessi descrivere la leadership di Gianluigi Buffon, del Buffon degli ultimi due anni, prenderei due esempi. Il primo riguarda le sue parole dopo Sassuolo, dopo la sconfitta per 1-0 che ha segnato la svolta: “A 38 anni non ho voglia di fare figure da pellegrini”, seguito dal “recriminare è segno di mentalità di squadra non abituata a vincere”. Nel momento più difficile ci ha messo la faccia in prima persona, caricandosi un burden sulle spalle di un qual certo peso: una squadra alla posizione numero 14 in classifica dopo 10 giornate. Da lì, 14 vittorie consecutive. Impossibile pensare che le sue parole dirette, senza mezzi termini, non abbiano toccato tutta la rosa e che non abbiano fatto scattare qualcosa.

La seconda immagine del Buffon leader è invece diversa, è un frame televisivo che suppongo e immagino tutti abbiano visto o notato. 13 maggio 2015, Real Madrid – Juventus 1-1. Al triplice fischio che sancisce il raggiungimento della finale di Berlino contro il Barcellona, le telecamere si spostano immediatamente su Buffon: nessuna corsa, solo un urlo, verso i tifosi che occupavano il settore ospiti dietro alla sua porta. Un urlo forte, determinato, un urlo diventato emblema di quella Juventus che lo scorso anno ha fatto sognare quasi tutto il popolo bianconero, un urlo che solo lo strapotere del Barcellona è stato in grado di affievolire.

Buffon non è un leader tecnico, attualmente. Difficilmente un portiere lo è. Senza dubbio è ancora oggi tra i migliori al mondo, ma i leader tecnici della Juventus sono Dybala e Pogba. Buffon è il leader carismatico, in campo e fuori. Difficile trovare qualcuno che non lo rispetti (a livello di mondo del calcio), altrettanto difficile trovare qualcuno che non lo riconosca come ottimo capitano (a livello di compagni di squadra). Basta andare allo stadio una volta e tenere un occhio di riguardo per lui: difficilmente si tace, altrettanto difficilmente resta fermo a guardare, ancora più difficilmente non è il primo ad esultare, incoraggiare, consolare i compagni.  D’altro canto, quando a 38 anni, nonostante una bacheca decisamente ricca, si hanno ancora enormi motivazioni e voglia di migliorarsi, di andare sempre oltre, non si può che essere un esempio da seguire.

In questa stagione, come specificato in apertura, Buffon non è stato un enorme protagonista di campo come forse è stato l’anno scorso, quando è stato molto più decisivo nel rettangolo verde per una questione puramente tecnica (la Juventus subiva di più), eppure la sua mano invisibile (non me ne voglia Adam Smith) su questa squadra è tanto trasparente quanto evidente. Questa squadra senza Buffon in rosa non avrebbe probabilmente mai centrato una striscia simile. Lo sa la dirigenza, lo sanno i tifosi, lo sa soprattutto Allegri, che sempre meno rinuncia a lui, anche nelle partite più scontate, come a Frosinone o a Modena col Carpi. Mi ripeto: 14 in fila, non a caso iniziate dalle sue parole. Non è solo una semplice coincidenza".

Buffon contro Higuain, Higuain contro Buffon.