Lazio – Inter non è una partita come le altre. Non può esserlo per storia, ricordi, aneddoti. É passata in secondo piano lo scorso anno, perché, sul finire di una stagione da incubo, la banda Stramaccioni aveva ben poco da chiedere. Lazio – Inter, è soprattutto una partita. Quella decisiva, quella del 5 maggio, anno 2002. L'Inter dell'hombre vertical Cuper si gioca il titolo, da capolista. Basta vincere all'Olimpico per sollevare lo scudetto. Roma e Juventus, con speranze ridotte al lumicino, gettano l'occhio alla sfida tra nerazzurri e biancocelesti. Il pubblico si schiera apertamente con gli ospiti. “Peruzzi appoggiati al palo”, così recita uno striscione. Meglio perdere una partita, che considerare la possibilità di veder esultare la sponda giallorossa. In campo, è partita vera e accade l'imponderabile. Lo sciagurato Gresko e l'imprendibile Poborski. L'Inter segna due volte, ma ne prende quattro. L'immagine che si incastona, indelebile, nella mente è quella del fenomeno Ronaldo. Seduto, mani al volto, in lacrime. Aveva sognato a lungo quel giorno. Riprendersi l'Inter, dopo aver sconfitto la sorte. Lascerà Milano e l'odiato Cuper senza titolo, direzione Madrid, stesso percorso, che Mourinho, da vincente, seguirà otto anni dopo.

 

L'attualità parla di altro. L'Inter è in fase di ri-costruzione, ha dimenticato il periodo negativo grazie a un tacco magico, di Palacio. Ora chiede strada ai biancocelesti per inseguire un sogno europeo, sfuocato, ma vivo. La Lazio sta peggio. Una buona stagione la scorsa, sotto la guida, elegante, di Petkovic. La qualificazione in Europa League e i propositi per l'anno corrente. Si è sciolta al sole di Formello ogni certezza. Il calcioscommesse ha tolto dal calcio giocato Stefano Mauri, un simbolo, il capitano, l'aquila più rappresentativa. Il mercato ha portato doppioni, vedi Biglia, e poche vere alternative. Klose ha sentito di colpo il peso degli anni e giovani promettenti, lanciati nel fuoco della Serie A, possono impressionare, ma difficilmente decidere. Lotito si è stancato e ha scelto di cambiare. Licenziamento di Petkovic, per giusta causa, per un accordo preventivamente preso con la federazione svizzera per il post Mondiale. Ovvia la reazione del serbo. Rifiuto totale. Avvocati, cause, polemiche. Ora, con due allenatori, Reja, cavallo di ritorno, in campo, e Petkovic di facciata, a parole, la Lazio si presenta alla sfida.

 

Mazzarri sul fronte Inter ha chiuso l'ambiente. Silenzio e lavoro. Ha riabbracciato Alvarez e perso Taider. Osserva Milito e per la prima volta si gode un parco attaccanti completo, sfogliando la margherita, tra la voglia di osare e l'esigenza di equilibrio. Sa che dall'Olimpico, penultima di giornata del girone d'andata, può partire un abbrivio importante. Il successivo match casalingo con il Chievo si presenta abbordabile e sei punti potrebbero portare i nerazzurri a ridosso del Napoli. Niente euforia però, perché, da uomo navigato, conosce il calcio e capisce che questo è senza dubbio il momento peggiore per affrontare l'animale ferito. Dirigenza e pubblico chiedono una scossa. Il ritorno al passato è la scelta di Lotito per cambiare il futuro. Un allenatore di carattere per strigliare giocatori senza mordente. Sputerà sangue la Lazio, sfodererà le armi dell'orgoglio e dei ricordi. Un'altra volta, spacciata, ha riscritto la storia. Allora contava per l'Inter, oggi forse vale di più per la Lazio.