San Siro, 27 agosto 1995: sul prato del Meazza l'Inter di Ottavio Bianchi, reduce dal primo mercato targato Massimo Moratti, ospita il Vicenza di Francesco Guidolin. In campo, tra le fila dei nerazzurri, ci sono diversi volti nuovi; ad impressionare particolarmente la platea di San Siro ci pensano i due nuovi terzini. Il primo è un brasiliano, tale Roberto Carlos, che decide l'incontro su punizione; verrà inspiegabilmente ceduto l'estate successiva, quando raggiungerà Madrid per vincere tutto con la casacca del Real. L'altra fascia, invece, è presidiata da un giovane argentino sconosciuto ai più: si chiama Javier Zanetti, in quel pomeriggio sfodera un'ottima prestazione e indossa per la prima volta la maglia nerazzurra. Non se la toglierà mai più.

San Siro, 13 maggio 2003: Inter e Milan si sfidano in quello che probabilmente è il derby più importante di sempre. L'andata è finita 0-0, il Meazza è stracolmo e la partita tiratissima. Shevchenko, in chiusura di primo tempo, supera Cordoba e batte Toldo in uscita portando avanti il Milan; a pochi minuti dal termine è invece un giovane nigeriano, Obafemi Martins, a firmare l'1-1. Nel finale succede di tutto, Kallon spreca la palla della vittoria calciando sul ginocchio di Abbiati e il Milan vola a Manchester per la regola dei gol in trasferta. L'immagine con cui si chiude la serata è straziante per il popolo nerazzurro. Javier Zanetti è in lacrime in mezzo al campo; dopo il terribile epilogo della stagione precedente (5 maggio 2002) il capitano e la sua Inter si fermano ancora una volta ad un passo dal traguardo. Sembra destino: l'Inter di Zanetti e Moratti deve soffrire.

Madrid, stadio Santiago Bernabeu, 22 maggio 2010: finale di Champions League, di fronte l'Inter di Josè Mourinho e il Bayern Monaco. A pochi secondi dal fischio finale, c'è un calciatore in mezzo al campo che fatica a trattenere le lacrime. È ancora lui, indossa sempre la maglia numero 4: Javier Zanetti, quasi 15 anni dopo la sua prima partita in nerazzurro. In quella notte spagnola, però, le lacrime del capitano hanno un sapore diverso. È il sapore della vittoria, del trionfo, il sapore di quella gioia che solo chi ha vissuto certe sofferenze può provare. È la stessa felicità che provano milioni di interisti, ancora una volta rappresentati alla perfezione da quell'eterno ragazzo scoperto quasi per caso. L'Inter di Moratti e Javier Zanetti, quella che non vinceva mai, sale sul trono d'Europa e pochi mesi dopo arriverà anche in cima al mondo.

Contro la Lazio, la sera del 10 maggio 2014, un'Inter a caccia dell'Europa League entra a San Siro per l'ultima volta accompagnata dal suo capitano in veste di giocatore. Zanetti si congeda, 19 anni dopo il suo esordio, dal pubblico con il quale ha stretto un legame eterno ed indissolubile; lo ha fatto lavorando sodo, con umiltà e rispetto senza mai dire una parola fuori posto. Continuerà a rappresentare i colori nei quali si identifica metà della Milano calcistica al di fuori di quel meraviglioso rettangolo verde.

Dal 1995 al 2014 è cambiato tanto nel mondo del calcio e nell'ambiente dell'Inter. Oggi regnano le pay tv, le partite in Italia si guardano più sul divano che sui gradoni dei nostri scomodi e vetusti stadi, il mondo del pallone è governato sempre più dai soldi invece che dalla passione. Sul prato del Meazza sono passati tantissimi giocatori, alcuni fenomeni (Ronaldo, Cannavaro, Eto'o...) altri un po' meno (Gresko, Sorondo, Hakan Sukur...). Tutto questo, però, è avvenuto con un comune denominatore: quell'uomo che rappresenta uno sport che non esiste più, l'ultima bandiera di una generazione fatta da uomini prima che da calciatori, quell'uomo in grado di farsi apprezzare e stimare anche dai più odiati rivali dell'Internazionale. Javier Zanetti, ovvero l'interismo fatto a persona.


Oggi lascia il campo una leggenda vivente; non è retorica, senza di lui l'Inter e il calcio perdono qualcosa. Molte cose sono state dette, altre andrebbero raccontate, ma ci sarà tempo per farlo; ora si può solamente rendere onore ad un vero campione. In bocca al lupo, Javier.