Juan Jesus, uno dei più giovani, eppure già punto di riferimento, prima con Mazzarri, ora con Mancini. La retroguardia dell'Inter riparte dal brasiliano, in coppia con Ranocchia, con buona pace di Vidic, verso la panchina nella stracittadina in programma domenica. Uno dei fedelissimi dell'esonerato Mazzarri, Juan, sempre impiegato dal tecnico di San Vincenzo. Sulle colonne di TuttoSport, il centrale ripercorre l'avventura, disgraziata, di inizio stagione e il difficile rapporto con il pubblico di San Siro. La paura, la pressione, la necessità di non incappare in errore per non esser ripresi da un popolo poco paziente "La colpa non è solo sua (Mazzarri) ma è anche nostra e della società. La gente poi se l'è presa con lui perché era l'allenatore ma se avessimo fatto il nostro lavoro bene oggi sarebbe ancora qui. Capisco che i nostri tifosi erano abituati a vincere tutto e quindi comprendo la loro delusione però, durante la partita, devono aiutarci: contro il Saint-Etienne eravamo a San Siro ma sembrava fossimo in Francia. Loro possono anche avercela con un allenatore o un giocatore ma non si può entrare in campo e venire fischiati per un passaggio indietro. La curva ha sempre sostenuto tutti ma io, dal campo, so chi fischia e sono soprattutto i tifosi di tribuna dietro alla panchina". 

Con Mancini, i maggiori cambiamenti riguarderanno proprio l'assetto difensivo. Dopo il lungo periodo a tre, il comparto arretrato torna a proporsi a quattro, con due terzini di spinta come Nagatomo e Dodò "Giocando a tre, potevo portare di più palla perché se mi sganciavo, sapevo che c'era Vidic dietro di me, a quattro bisogna rimanere più bloccati. In marcatura poi, se giochi a quattro devi stare più stretto mentre a tre, di fatto, con i terzini si è in cinque a difendere. Però fondamentalmente non cambia granché: se sei bravo a marcare, puoi anche essere quattro contro dieci".

Dalla Premier alla Serie A, Juan supporta la tesi del compagno Vidic. In Italia vige la regola della simulazione, del calcio più di tocco che di contatto "In Premier il calcio è più fisico come piace ai tifosi, per questo viene fischiato chi, simulando, cerca di rovinare lo spettacolo. In Italia devono capire che il calcio è uno sport di contatto, non è il tennis. Gli attaccanti devono accettare di prendere un po' di botte: Cuadrado, per esempio, è un giocatore che si butta appena ti avvicini a lui". 

La svolta, per l'Inter, passa dalla ritrovata condizione di Palacio, decisivo lo scorso anno, ma in questa stagione limitato da un problema alla caviglia aggravato dal mondiale brasiliano "È la solita vecchia storia: se fai sempre gol, sei un mito. Se vai in difficoltà hai tutti contro. Lui si è infortunato, ha giocato un buon Mondiale ed è tornato a Milano con la caviglia dolorante e senza aver fatto il ritiro con noi. Ora sta recuperando bene e il derby può essere la partita giusta per sbloccarsi: dopo tutto, nell'ultimo che abbiamo vinto, ha segnato di tacco". 

La chiusura è per una bandiera, Javier Zanetti, con il sogno non celato di seguire le orme dello storico capitano "So che è un bell'impegno. Ho 23 anni, magari arriverò a 40: noi all'Inter abbiamo l'opportunità di fare meglio di chi ci ha preceduto. Non so neanche quando scade il mio contratto (2018, ndr) a Milano sono felice e devo pensare al presente e a lavorare per l'Inter. Se poi loro non mi vorranno più, sarà una scelta della società".