Semplicemente Guarin. Segna, lotta, corre, incita i compagni, fa quel che è richiesto a un leader, fornire il giusto esempio. Vien da sorridere, pensando al passato, al possibile addio, alla scelta Juventus, alla panchina. Mancini mette Gaurin e poi tutti gli altri, sempre, dall'inizio del suo secondo mandato in nerazzurro. Il colpo di genio del tecnico non passa inosservato, abbassare Fredy in mediana, nel vivo del gioco. Gli sbalzi umorali del sudamericano lasciano il posto a una notevole continuità, d'azione e d'intenti. Guarin si sente al centro del progetto, non più lusso eccessivo, e cambia marcia. Rende realtà l'apparenza, conferma quel che tutti supponevano senza basi solide, il potenziale è da campione. Accanto all'operato in campo, un forte senso di appartenenza, non a caso Guarin si imbufalisce quando la curva polemizza sull'operato del gruppo, quando al centro della contestazione finisce l'impegno dei compagni. 

Bergamo è campo difficile e l'Inter, in fase di guarigione, non può sbagliare. Guarin indirizza l'incontro, si procura il rigore, trasformato da Shaqiri, inventa la traiettoria da biliardo che spazza le nubi pomeridiane. L'Inter si ritrae, impaurita, dopo il vantaggio e le folate bergamasche trovano realizzazione nel pari di Maxi Moralez, è il peggior momento nerazzurro. Fredy fa tutto da solo, accelera e calcia. 1-2. Scacco matto, perché l'Inter da qui non si volta indietro e c'è tempo per un nuovo timbro del colombiano sulla partita, prima del "salvagente" lanciato all'affaticato Palacio. Sono quattro, a Bergamo, senza subire, imponendo il gioco, attraverso il possesso palla e buone idee.

Guarin resta, fino al termine, intorno a lui cambiano gli interpreti, Kovacic rileva Shaqiri - collante perfetto sulla trequarti - e lancia segnali di talento a Mancini, un quarto d'ora per Hernanes, al posto di Palacio, davanti Podolski. Gioca il tedesco, non Icardi, anche questo è Mancini. La doppietta di Palermo non basta per blindare il posto in squadra, il futuro si prospetta ricco di impegni e Mauro è patrimonio da preservare (ieri una fastidiosa sindrome gastro-intestinale alla base dell'esclusione). Nella scelta del Mancio anche un input all'attaccante, senza di lui meno killer instict, ma più gioco, più squadra.

La nota lieta, dietro, è Santon, maturo, pronto. Scende meno rispetto al passato, ma conosce e capisce, il momento. Medel è ovunque, Juan battibecca, forse troppo. Per il resto c'è Guarin.