Indifendibile. Soprattutto per l'immagine che si da del calcio e di quello che sta diventando. Philippe Mexes non è nuovo a scenate del genere, in campo e fuori: il francese perde la testa e, nonostante la provocazione di qualche minuto prima del capitano laziale Mauri, ci ricasca. Uno spintone, una mano sul collo, un testa a testa. Basta, Philippe. Il rosso di Mazzoleni provoca ulteriormente il francese, facendo imbestialire ancor di più il toro che è in lui. Mexes non ci vede più e cerca vendetta personale. Quello che ne scaturisce è un immagine davvero impietosa di un fine partita inutilmente nevrotico con la gara che si era già chiusa da un pezzo.

Partita tesa, già dalle prime battute. Calci, ammonizioni. D'accordo l'agonismo (era una partita molto importante per tanti motivi da una parte e dall'altra), ma fino ad un certo punto. Non servono e non devono essere attenuanti la pressione che c'è in casa Milan, la ricerca ossessiva del risultato a tutti i costi, una vecchia rivalità tra un ex romano e la Lazio o il contraccolpo psicologico di vedere la tua squadra in vantaggio essere rimontata da un'avversaria semplicemente più brava . Certo, c'è la provocazione, ma quante ce ne sono in un campo da calcio? E' quasi all'ordine del giorno. Sarà anche un modo meschino e subdolo per giungere al fine, ma non giustifica una reazione di questa portata.

E non è la prima volta che Philippe Mexes si rende protagonista di un gesto folle, di una reazione così insensata: il primo episodio ai tempi della Roma, quando la facilità con cui prendeva cartellini rossi era considerato un difetto di giuventu ed inesperienza. 22 anni, era il 15 settembre del 2004, il palcoscenico della Champions League sullo sfondo. L'episodio che verrà ricordato per la monetina lanciata all'arbitro Frisk, ma l'ira romana fu scatenata dal francese che scalciò Verpakovskis rientrando negli spogliatoi per l'intervallo. Nel 2008-2009 arrivò a 7 giornate di squalifica, 5 nel 2011-2012, la sua ultima stagione nella capitale. Insomma, chi più ne ha più ne metta.

La recidività del gesto condannerà il difensore transalpino ad una decina di giornate di squalifica. Almeno. Sperando che l'ammissione di colpa non sia un motivo valido per ridurne la pena. "Quando sbagli è giusto prendere le responsabilità. Mi è capitato più volte nella mia carriera, e non posso accettare la reazione che ho avuto. Non avevo fatto niente di che sul campo, ho preso il rosso e ho reagito in una maniera sbagliata. Ho 4 figli, non è un buon esempio da parte di un padre, chiedo scusa a tutti. Non devo cercare alibi, è solo una partita di calcio: ho sbagliato io". Non basta, non più.