Ci sono un broker cinese col nome in codice, una squadra di calcio, una valigetta con 480 milioni di euro e un imprenditore e politico italiano. Sembra l'incipit di una spy story di James Bond, ma altro non è che la trattativa più calda dell'estate, quella che porterebbe il 48% dell'AC Milan ad una cordata di imprenditori asiatici, guidati dall'enigmatico broker Bee Taechaubol. Fino a ieri, l'accordo sembrava cosa fatta; ma un'inchiesta del settimanale "L'Espresso", dal titolo "Quel calcio malato di sindrome cinese" (Gianfrancesco Turano), scopre non pochi altarini sulla reale situazione della manovra, e getta ombre inquietanti su un giro di denaro poco limpido.

Che il settimanale controllato da Carlo De Benedetti non sia mai stato tenero verso Berlusconi è un dato di fatto, e l'inchiesta di ieri ne è la prova provata: promettendo di raccontare "la situazione reale", l'articolo svela tutta una serie di contraddizioni volte a presentare la trattativa tra Berlusconi e mister Bee come un polverone mediatico, una serie di "fattoidi" che servirebbe al presidente del Milan ed ex presidente del Consiglio per riportare il Milan sulle prime pagine dei giornali, in un periodo piuttosto gramo di soddisfazioni calcistiche.

Ma le cose sono più complesse: innanzi tutto, secondo "L'Espresso", "Bee non ha la forza per mettere sul piatto i 480 milioni richiesti entro il 30 settembre". Dietro di lui, che è soltanto un mediatore finanziario, ci sono dei terzi ancora piuttosto ignoti. Si ipotizza che la cordata sia composta da ADS Security di Abu Dhabi, che si occuperebbe della quotazione nella borsa di Hong Kong, e CITIC Bank, colosso cinese che metterebbe il denaro. Fatto sta, che mister Bee non è il reale compratore, ma solo un broker che dipende da altri.

Secondo punto: i ricavi promessi non sono entusiasmanti (380 milioni sul mercato asiatico in due anni e raddoppio della valutazione a 2,2 miliardi), soprattutto se si considera che il Milan attuale non dà grandi garanzie di successi sportivi. Attenzione, però, alla CITIC, che, come detto in precedenza, non darebbe un prestito senza garanzie, ma diverrebbe proprietario effettivo della società. Anche qui, mister Bee si trova però sufficientemente scoperto.

Terzo punto: non c'è solo un gruppo asiatico dietro al misterioso broker, ma anche una rete di uomini che ricondurrebbe direttamente alla Fininvest. Berlusconi potrebbe quindi star intessendo una trama per scorporare il Milan, mantenendone però un diretto controllo. Tra i nomi emersi, Pablo Victor Dana, ex Fininvest e Mediaset Svizzera, e Valentino Valentini, ex Publitalia e attuale responsabile dei rapporti internazionali di Forza Italia.

Quarto punto: non si sa da dove arrivino i soldi di Bee. E soprattutto, Berlusconi sa di essere controllato dalla Guardia di Finanza. Far entrare mezzo miliardo di soldi anonimi dall'estero è rischioso; soprattutto, il nuovo regolamento FIGC in materia si prevede piuttosto fiscale, per evitare che si possa ripetere un Perma-bis. Secondo le nuove regole, chi compra più del 10% di un club (48% in questo caso) deve avere il patrocinio di una banca, italiana o estera, che dichiari che il soggetto (o il gruppo) abbia una base finanziaria solida, sia puntuale e corretto nell'onorare gli impegni, goda di stima presso gli istituti finanziari e, cosa non meno importante, abbia conseguito il suo patrimonio con attività lecite. Questa direttive potrebbero rallentare la trattativa, qualora gli acquirenti vogliano mantenere l'anonimato. L'unica soluzione potrebbe essere quella di mettere insieme una serie di società offshore, come ha fatto l'Inter con Thohir. Ma, conclude l'inchiesta, "il mister B italiano ha qualche trascorso con le procure, e l'ex presidente interista Massimo Moratti non ha mai fondato un partito": per questo, il buon esito della trattativa è ancora tutto da definire.

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