La Juventus, domenica, ha timbrato il cartellino di un'altra giornata di ordinaria supremazia. La Roma ha gridato per ben quattro volte “presente”. E il Napoli? La squadra di Rafa Benitez non è andata oltre l'1-1 contro il Cagliari. E qui finisce l'onta che rischiava di marchiare come “disfattista” questo articolo. Il club partenopeo ha pareggiato con la squadra sarda al Sant'Elia, nell'anticipo di sabato scorso, più per meriti della formazione di Lopez che per demeriti imputabili agli azzurri. Le polemiche sul gol del vantaggio di Callejon poi annullato dal guardialinee non ci interessano. Dare in pasto alla stampa gli arbitraggi è inutile, sia che essi siano positivi, sia che siano negativi. Gli episodi possono decidere una partita, certo, ma una squadra del livello del Napoli dovrebbe essere più forte degli episodi.

Sabato sera il club partenopeo non lo è stato. Ancora una volta la squadra di Benitez non è stata all'altezza della sfida che gli si proponeva davanti. Il miglior Cagliari non avrebbe dovuto essere un ostacolo insormontabile per il Napoli, e invece la squadra sarda ha trasformato il Sant'Elia in un binario dal quale è partito verso destinazioni giallorosse e bianconere il treno scudetto che ha lasciato il Napoli fermo alla stazione, fermo al terzo posto, a -10 dalla Juventus e a -5 dalla Roma. Molto probabilmente a Cagliari si è consumato l'addio al tricolore da parte degli uomini di Benitez. I numeri parlano chiaro, i distacchi cominciano a farsi pesanti e se rimontare cinque lunghezze ai romani può sembrare possibile, anche se la Roma di Garcia non ha ancora mai perso una singola gara in campionato, recuperare dieci punti alla Juventus, a meno di un girone di ritorno disastroso da parte dei bianconeri, sembra irrealizzabile. La diciassettesima giornata conclusasi domenica sera mandando in scena uno dei derby tecnicamente peggiori che si ricordino ha evidenziato che il tricolore sarà una lotta a due. I quattro gol segnati dalla Juventus a Bergamo e dai capitolini all'Olimpico hanno messo una pietra sopra alle speranze del Napoli.

Ma se da una parte l'1-1 rimediato dal Napoli in terra sarda ha messo in chiaro che la squadra di Benitez non è ancora pronta per cucirsi lo scudetto al petto, ha anche riaperto la corsa alla Champions League. La Serie A, infatti, si è fermata per le vacanze natalizie regalando al Napoli una fine dell'anno tra il dolce e l'amaro, condannandoli ad una lunga riflessione. La Fiorentina è a -3, l'Inter sconfitta per 4-2 al San Paolo due settimane fa è a -5. La squadra del tecnico iberico dunque, alla riapertura dei giochi, dovrà fare campionato a sé e cercare di sfruttare al meglio un girone di ritorno che vedrà Juventus, Roma e Fiorentina costrette a misurarsi col Napoli nel temuto San Paolo, dove i giallorossi non vincono dal 2009, la squadra di Montella dal 2010 e la “Vecchia Signora” addirittura dalla stagione 2000/2001.

Classifica e statistiche a parte, però, la rosa a disposizione di Rafa Benitez è incompleta. E i tanti punti deboli degli azzurri, soprattutto in difesa, hanno certamente influito negativamente sul cammino del Napoli specialmente in campionato, dove i partenopei hanno comunque totalizzato nelle prime diciassette partite 36 punti, 3 in più rispetto alla scorsa stagione in questa fase, con la splendida avventura in Champions League a rendere ancora più chiara la grandissima crescita del gruppo partenopeo. Se l’anno scorso per tenere questo ritmo Mazzarri accantonò l’Europa League praticandovi uno sciagurato turn-over di massa, quest’anno Benitez ha chiuso con 12 punti il girone più difficile della massima competizione continentale, stesso numero del Borussia Dortmund che si è qualificato agli ottavi da testa di serie e dell'Arsenal travolto per 2-0 al San Paolo.

Ma i paragoni servono a poco. E' sempre del campo il verdetto che va preso in considerazione e finora il campo ha parlato chiaramente. Il Napoli non è ancora al livello del gruppo di Conte e non lo è giustamente. Il “tutto e subito” quasi imposto dall'ambiente che circonda la squadra di Benitez e dalla stampa partenopea ha sempre stonato, fin da inizio stagione, con la realtà di un gruppo nuovo, alle prese con una rivoluzione tattica, infortuni di lusso, due su tutti, quelli di Zuniga e Hamsik, e una nuova avventura cominciata da appena quattro mesi.

Le “colpe” sono quindi subito trovate. Dentro il rettangolo di gioco il Napoli ha le sue responsabilità, tante ma comprensibili vista la rosa incompleta e l'inizio di una nuova esperienza sotto un nuovo tecnico, difficoltà di cui abbiamo scritto in precedenza, ma fuori dal San Paolo l'eccessivo entusiasmo che contraddistingue il popolo napoletano non può che tornare a discapito della squadra quando le cose vanno male, o comunque non come ci si aspettava andassero. Il vento del 29 aprile 1990, data in cui il Napoli si laureò campione d'Italia per l'ultima volta, che ogni anno viene dissotterrato da tifosi ed “esperti” e che anche quest'anno come al solito portava con sé speranze tricolori ha lasciato il capoluogo campano sterzando verso Roma e Torino. Al Napoli rimangono obiettivi più abbordabili: difendere il terzo posto in campionato, lottare magari anche per la seconda piazza e puntare alla finale di Europa League. Obiettivamente, non è poco.