Una sbavatura, una piccola disattenzione che, in un campionato pressocché perfetto, può costare tanto. Una gara, o quasi, giocata per intero a testa alta, petto in fuori, così come aveva chiesto Sarri alla vigilia. La Juventus non ha assediato il Napoli, l'ha rispettato nella sua forza come dichiareranno a fine gara mister Allegri e Gianluigi Buffon. Resta, tuttavia, a fine gara, un immenso rammarico, misto a delusione e frustrazione che accomunano il risveglio della Napoli città all'ombra del Vesuvio. Prevalgono oltremodo questi ultimi rispetto all'orgoglio nell'aver visto finalmente una squadra viva e vegeta anche nel catino più imponente d'Italia, per blasone e per timore reverenziale. Quattro anni dopo il Napoli di Sarri riesce, sebbene lo faccia ancora a mani vuote, ad uscire a testa altissima dallo Stadium, applaudito anche da quei rivali che ne hanno capito potenzialità e minacce a tal punto di decidere di giocarsi il campionato nei restanti episodi. 

Ottantotto minuti non perfetti, perché il calcio del Napoli è altro. Fatto di intensità e pressing, a volte di sfacciataggine e buona incoscienza. Ieri, tutti questi aspetti sono stati marginali rispetto al risultato. Inevitabile, alla vigilia, fosse così. Da una parte la Signora, con un pensiero al campionato ed un altro alla Champions, incerottata fino al midollo per assenze ed acciacchi che rischiavano di compromettere una fantastica rimonta. Dall'altra un'avversaria che per la prima volta da anni si presentava al Grande Ballo in testa, col dovere morale di difendere quel primato: ipocrita sarebbe pensare che gli azzurri, da ospiti, avrebbero dovuto gettare prima il guanto di sfida, esponendosi maggiormente alle ripartenze di Dybala e Pogba. 

Spazio dunque alla tattica, agli esterni bassissimi, ad una partita di scacchi che regala pochissimi spunti e tantissimo equilibrio. Le squadre si rispettano, è evidente: il calcio all'italiana prende la scena nei primi venti minuti, quando nelle gambe dei ventidue in campo sembra esserci la voglia di una possibile scintilla, anche se la mente prevale, sempre, sulle emozioni. Le 'torri' sui lati si muovono difficilmente, perché Ghoulam è preoccupato dal vispo Cuadrado, mentre Insigne stenta a trovare il guizzo ed entrare in partita, così come Hamsik e Higuain, trovati quasi mai al di là delle linee nemiche. La manovra del Napoli, così come ammetterà Sarri, è lenta e farraginosa per sua stessa volontà, palesemente guardinga al cospetto del cobra che aspetta solo l'incertezza per punire l'avversaria. 

Queste partite, generalmente, sono fatte e decise da episodi, che possono spostare l'ago della bilancia da una parte o dall'altra: c'è l'infortunio di Bonucci, che potrebbe aprire uno spiraglio ai partenopei. Allan è un mastino in mezzo al campo: chiude su Marchisio e Pogba senza rinunciare ad uno scatto, ad un contrasto, ad uno sforzo in più per perorare la sua causa. Dai piedi del brasiliano nasce, inoltre, l'occasione più clamorosa della gara e del primo tempo: la Juventus sbaglia il pressing, battuta da due tocchi di prima di Callejon e della mezzala verdeoro che liberano Hysaj sulla destra. L'albanese è impeccabile nel cercare il movimento di Higuain sul secondo palo, prima che la Provvidenza ed il destino, forse fin troppo beffardo, facciano il proprio corso voltando le spalle agli azzurri: Bonucci ci mette la punta del piede, togliendo al Pipita l'occasione di pungere, l'unica in tutta la gara. 

Rabbia e frustrazione, che lasciano spazio all'orgoglio del Napoli che nella ripresa non macina gioco, ma controlla stabilmente il possesso di palla, seppur infinitamente sterile. La concentrazione non cala, le squadre non si scompongono affatto, nemmeno di un millimetro. Hamsik ha, sull'ennesimo break di Allan, lo spiraglio per calibrare il mancino dalla distanza, rispondendo al brivido firmato Dybala dalla parte opposta: lo slovacco non centra la porta, con Buffon che come Reina tira un sospiro di sollievo. Si entra nell'ultimo quarto d'ora con la consapevolezza che i padroni di casa abbiano tirato i remi in barca, firmando per il pari a spada tratta. 

Il pizzico di 'follia' tanto auspicato da Sarri in conferenza stampa, lascia spazio ai troppi individualismi di Higuain e Mertens, il primo nervoso per una partita frustrata dalla prestazione encomiabile di Barzagli, il secondo folgorato dalla voglia di ostentare una superiorità che in quel lasso di tempo doveva far posto al volere comune, di gestione della sfera. Da una palla persa del belga, nasce il lancio di Khedira, apparentemente innocuo: Hysaj e Callejon non arrivano sul pallone, Alex Sandro si. Evra serve Zaza, che salta Koulibaly portandosi il pallone sul piede più congeniale. La beffa è dietro l'angolo ed aspetta con la mela avvelenata l'abboccare della preda: Albiol ci mette lo zampino, la frittata è fatta. 

Manca quel brivido che avrebbe dato un tono diverso al finale del Napoli, colorandolo probabilmente d'azzurro piuttosto che bianconero. Un barlume di incoscienza che si è invece fermato davanti al ragionevole ed inconscio timore reverenziale, che non ha permesso agli ospiti di provare ad azzannare la sfida ed il campionato alla giugulare. Resta, comunque, l'immagine di una squadra che non è più seconda o terza della classe, ma che studia da grande e che ha acquisito mentalità ed orgoglio da prima. La crescita passerà anche da questa sconfitta, salutare quanto costruttiva qualora il Napoli riuscisse a voltare subito pagina guardando a Villarreal, Milan e Fiorentina con maggiore convinzione di sè stesso.