Essere Daniele De Rossi, a Roma, non è facile. Fin da ragazzo, un'etichetta pesante, l'eredità di un'idea, di una seconda pelle, la romanità come un'etichetta da diffondere, da sbandierare. Capitan Futuro, perennemente in attesa. Davanti Totti, l'icona, il 10, dietro De Rossi, ad attendere il passo indietro del leader naturale.

A 31 anni, l'immobilismo continua e De Rossi è sempre il secondo, tra alti e bassi, con la gente, con l'allenatore, con il campo. Resta alla Roma, perché è parte della Roma, perché la Roma è una passione travolgente, che ti avvolge e seduce, ti lascia a volte solo, ma torna spesso a ricordarti cosa significa indossare quei colori, così significa sfogliare la storia.

Colpi di testa, dubbi, paure, De Rossi vede il tempo scappare e ripensa al passato, all'addio possibile, alla scelta di vita, a un contratto ancora lungo. Anni di corse e fatica, errori, con la Roma e con la Nazionale, incomprensioni, con Zeman, con Garcia, alla fine c'è la Roma, sempre la Roma.

Di recente il ritorno, di forza, davanti alla difesa, nel suo ruolo, a costruire e distruggere, ora, all'orizzonte, l'ennesimo derby, per la Roma LA partita, per De Rossi ricordi sbiaditi, spesso amari. Il derby ti stringe lo stomaco, ti colpisce, ti stende, annebbia la vista e i pensieri, c'è troppa Roma in De Rossi per assorbire senza problemi una sfida di questa portata.

Mai come quest'anno il derby è però vitale, perché c'è il secondo posto sul piedistallo, un trofeo da strappare ai rivali, un'aquila da abbattere per sancire la supremazia cittadina. La Roma respira dopo la grande crisi, con i tre punti dell'Olimpico con l'Udinese si affaccia in testa sul rettilineo finale, ma lunedì è dentro o fuori, basta un pari, ma è un derby.

In occasione della presentazione del libro di Massimo Marianella, De Rossi racconta la sua carriera, traccia un bilancio sul passato, ipotizza il futuro.

Sono tranquillo, manca una settimana, poi quando ti avvicini alla partita sale la tensione, ma ne ho giocati parecchi e penso di riuscire a gestirla. La Roma è il mio grande amore. Ho due anni di contratto e passano veloci, ma quando vedrò che gli acciacchi aumentano e le cose girano peggio allora penserò a lasciare. In passato ci sono stati momenti della mia vita in cui pensavo di cambiare squadra, ma poi sono rimasto. L'addio di Gerrard è stato elegante e dignitoso. Mi piacerebbe che il mio fosse così. Penso che sia stato un dolore staccarsi da ciò che hai avuto addosso per tutta la vita”.

Spero di lasciare il calcio il più tardi possibile, ma lo voglio fare quando non sarò più in grado di essere forte. Gerrard è quello che mi è piaciuto di più quando ho iniziato a giocare, insieme a Lampard e Pirlo: irreprensibili anche fuori dal campo. Vedevo lui come qualcuno da imitare. Atteggiamenti esemplari, e io devo prenderne spunto perché ogni tanto sono scivolato. Le bandiere? Maldini e Totti sono stati applauditi: non siamo molto lontani dal riconoscere i campioni. Poi ci sono momenti legati ai risultati della nostra squadra del cuore e si può perdere la lucidità”.

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Johnathan Scaffardi
Lo sport come ragione di vita, il giornalismo sportivo come sogno, leggere libri e scrivere i piaceri che mi concedo