"Errare humanum est, perseverare autem diabolicum".

21-9-2015. Il Sassuolo fa terra bruciata all'Olimpico, sciorinando calcio ma strappando soltanto un punto dalla Capitale. Garcia sembra sull'orlo di una crisi di nervi, l'ennesima, dopo il buon pareggio contro il Barcellona. Tuttavia, il transalpino sbaglia formazione, come spesso gli capita quando deve affrontare più competizioni in un breve lasso di tempo, pregiudicando la vittoria contro i neroverdi e la trasferta di Genova con la Sampdoria. La Roma pecca di mentalità, di gioco, fornendo la solita immagine della presunzione, quella che fa gonfiare l'ego smisurato di una squadra specchio di un allenatore capace di non dare, in tre anni di permanenza sulla panchina della squadra giallorossa, una minima parvenza di idee e di costruzione della manovra, per non parlare dell'assetto difensivo. 

La bella e scintillante Roma del primo anno garciano era soprattutto frutto di impeto e di rabbia agonistica, risultato delle delusioni della precedente stagione e della rivalsa tecnica e mentale di una squadra che voleva e doveva scacciare l'onta di una figuraccia storica. Ciononostante, l'evidenza era quella di una formazione che si basava esclusivamente sull'irruenza fisica, oltre alle scorribande di Gervinho. La Roma di questi due anni, invece, quella che doveva vincere in Italia e dare del filo da torcere in Europa si scioglie, puntualmente, davanti alle prime difficoltà, mostrando una costruzione latente in tutti i suoi aspetti, dal campo alla società. Garcia non ha le spalle larghe per difendersi da critiche, aspre e continue, di stampa e tifoseria, che lo indicano come capro espiatorio delle colpe di una Roma pallida e vuota. 

Vero, verissimo, ma è altrettanto decisivo in questo marasma che la società non si è mai esposta, in prima persona, nel difendere o nell'accusare l'operato del transalpino ex Lille. Sabatini, per dovere di cronaca e di ruolo, difende la sua scelta, di un allenatore vincente solo quando non aveva nulla da perdere, ma che appena ha dovuto fare il passo decisivo è stato investito da un treno merci in corsa, chiudendosi in sé stesso, nel suo ego e nella sua smodata presunzione. La personalità di Garcia è riuscita sì a gonfiare oltremodo una squadra dalle potenzialità evidenti, ma anche a farla sgonfiare implodendo su se stessa non appena le cose iniziavano ad andare male. 

Si arriva al momento cruciale della stagione nello stesso modo nel quale si era approcciato il precedente anno: la Roma si presentava da favorita numero uno al campionato con la Juventus e dopo la vittoria, prematura a dir poco, contro i bianconeri, l'ambiente è stato pompato oltremodo pensando che lo Scudetto fosse soltanto una formalità. Dopo le prime cadute, alcune fisiologiche (apparentemente) che nascondevano una latente organizzazione tattica, è arrivato il ciclo di ferro: la vittoria del derby sembrava lanciare la Roma, prima del diluvio di Bologna (alibi, ma solo in parte, del risultato finale), della sestina in casa blaugrana e del tonfo fragoroso di ieri. Così come dopo il Bayern la Roma è caduta nell'oblio di sè stessa, con più dubbi che certezze, sfociando nella prestazione di ieri, vuota e scialba sotto tutti gli aspetti. 

I passi falsi della Roma osservano tutti una costante disorganizzazione, mentale e tecnica, con le motivazioni che puntano tutte il dito verso Rudi Garcia: incapace nel dare un gioco ed un'idea a questa squadra, nel non saper gestire turnover e spogliatoio, così come controllare una gara quando è in vantaggio (vedi Leverkusen e Bologna), fornire motivazioni alla squadra nelle partite decisive lasciando spesso i giocatori alla mercé dei loro stimoli personali, ed inoltre, in particolar modo, non essendo mai in grado, a gara in corso, di scuotere nell'orgoglio la squadra quando è sotto nel punteggio. L'immagine residue della Roma di ieri è quella di una squadra allo sbando che non segue più il proprio allenatore. Lo si nota nelle facce, nel cosiddetto body language, flaccido e mai vispo, nelle giocate sterili e prive di mordente. Sia a Barcellona, dove l'aspetto tecnico ha influito sulla mancata reazione ma non sull'assenteismo della prima parte di gara, assolutamente ingiustificato, che ieri contro l'Atalanta, oltre alle carenze di un reparto difensivo che si muove in maniera asimmetrica, ciò che colpisce è la totale mancanza di reazione: al 60' la Roma è uscita dal campo, sotto di un gol, rifiutandosi di lottare fino all'ultimo secondo. Una squadra molle, indolente ed abulica, che si è lasciata battere senza rispondere con un sussulto. 

Un montante ed un gancio che tra Champions e Serie A stenderebbero chiunque. I vizi capitali dell'allenatore francese si rivedono tutti nella sua squadra, immagine e somiglianza della superbia e dell'accidia che fanno parte dell'indole dello spocchioso allenatore transalpino, il cui ego si sta sensibilmente sgonfiando a vista d'occhio.