Walter Zenga si confida alla Gazzetta dello Sport, l'avventura in blucerchiato è agli inizi, qualche allenamento per assaporare nuovamente l'atmosfera di casa. Il sogno Inter è oggi lontano, l'attenzione è rivolta al progetto ligure, tra Europa e Serie A, con la convinzione di poter continuare il cammino intrapreso da Sinisa Mihajlovic. Il serbo accetta il diavolo e spalanca le porte a Zenga, per personalità non distante da Sinisa.  Carattere forte, esigente, uomo di spirito, il profilo perfetto per la Sampdoria.

"Visto che ho sempre detto che la mia casa è l’Inter, rispondo che ero all’apice della carriera nerazzurra quando presi un aereo per andare a vedere la finale di Coppa campioni della Samp: la mia seconda squadra da sempre; l’unica altra di A, e anche l’ultima, nella quale ho giocato".

Il ritorno a casa è un concentrato d'emozioni. Zenga spalanca la porta e ritrova vecchi amici, ascolta nuove sirene, "legge" idee rivoluzionarie. Ferrero è un vulcano, Osti un architetto intelligente, il campo restituisce ricordi e gioie. La Sampdoria accoglie Zenga ed è un tuffo nel passato, colorato dalla positività del presente.

"Per ora mi sento strano: torno dopo vent’anni - venti, non due - e ritrovo stesso medico, fisioterapista, magazziniere e team manager; mi confronto con Ferrero, Osti e Romei da due mesi e mi sembra di lavorare con loro da una vita. La prima volta che ho rimesso piede a Nervi mi sono detto: ma sto recitando in "Sliding doors"?".

Una virtuale stretta di mano a Sarri. Il treno del successo accoglie Sarri, l'allenatore in tuta, con sigaretta d'ordinanza. Il capolavoro a Empoli, la chiamata del Napoli. Una lunga gavetta, come Zenga, prima dell'occasione che può cambiare la carriera. 

"Sarri è come me: non siamo nati con la camicia, ce la siamo andata a comprare".

Un viaggio ai confini del mondo, realtà difficili, sconosciute, una crescita lenta, ma costante, l'evoluzione dell'allenatore Zenga, lontano dai riflettori.

"Stare così tanto in giro ti insegna a rispettare di più te stesso e gli altri, ti educa a confrontarti con realtà diverse, allena la tua capacità di osservazione. E ti regala una serenità che prescinde dalle tue certezze materiali o affettive".

Il finale è dedicato a Balotelli e Cassano. Il primo si interroga a Liverpool, sedotto e abbandonato dalla ricca Premier, il secondo, dopo il fallimento del Parma, "fiuta" l'ultima occasione di una carriera costruita su un talento fuori dal comune, ma bloccata da atteggiamenti non sempre da professionista.

(Balotelli) "Mai: è fuori dalla nostra portata. Al massimo possiamo dargli una maglia, le scarpe e l’emozione di entrare a Marassi e sentire i tifosi del Doria che cantano".

(Cassano) "Scemenze. L’ho chiamato io - e non so quanti allenatori l’avrebbero fatto - e gli ho detto: "Antonio, uno come te non si può discutere, ma noi abbiamo un progetto e il nostro progetto si chiama Eder, Muriel, Correa, Bonazzoli, Okaka".