Sebastian Vettel, così, non lo si era mai visto. Teso, adombrato, addirittura furioso con Pirelli a fine gara, per l’episodio che gli ha precluso il podio e soprattutto ne ha messo a rischio l’incolumità. Uno choc che gli ha fatto dimenticare, in un primo momento, le operazioni di peso obbligatorie a fine gara.

Al pilota, che esigeva spiegazioni chiare per quanto successo, era giunta l’immediata replica di Paul Hembery, responsabile Pirelli, tesa a rimpallare a Ferrari le colpe dello scoppio, frutto di una strategia azzardata piuttosto che di un difetto sulle coperture milanesi. Nessuna analogia col caso di Rosberg, ha tenuto a precisare Hembery.

Il giorno dopo continuano a volare gli stracci. Pirelli ha emesso un comunicato nella notte, in cui precisa che due anni fa i team rifiutarono la proposta della casa milanese di fissare un limite massimo all’utilizzo delle gomme in gara.

Fin dal novembre 2013, Pirelli aveva chiesto che venisse fissato per regolamento, oltre all’indicazione degli altri parametri per il corretto impiego delle gomme, anche il numero massimo di giri effettuabili con lo stesso set di pneumatici. La richiesta non venne accolta. La proposta prevedeva un chilometraggio massimo equivalente al 50% della durata del Gran Premio per la gomma Prime e del 30% per la Option. Tali condizioni, se applicate oggi (ieri, ndr) a Spa, avrebbero fissato a 22 il numero massimo di giri percorribili con le gomme a mescola Medium”.

Una proposta in ottica sicurezza che avrebbe, d’altro canto, portato a uniformare le strategie di gara, sacrificando spettacolo e imprevedibilità. Quanto successo a Spa, in fondo, potrebbe essere (il condizionale è d’obbligo) il prodotto duplice di quel rifiuto. La scelta di impostare la gara su una sola sosta – incoraggiata dal clima più mite rispetto alle libere (la mescola media è “low working range”, studiata cioè per rendere a temperature più basse) - ha permesso a Vettel di risalire dall’ottavo posto in griglia e giocarsi il podio fino alle fasi finali; ma si è rivelato al contempo un rischio controproducente al risultato finale e, potenzialmente, all’integrità del pilota.

27 giri percorsi con lo stesso treno di gomme: 4 più di Perez, 5 più di Grosjean e Massa sulla stessa mescola, 6 giri più (che a Spa equivalgono a circa 42 km) di quanto raccomandato da Pirelli nella proposta di allora. Un chiaro eccesso, se non fosse che ogni squadra dispone di un tecnico Pirelli, incaricato di fornire indicazioni sul corretto utilizzo delle coperture ed eventualmente sconsigliare una data strategia.

Ciò che non è accaduto, secondo Maurizio Arrivabene, quando è stata decisa la tattica di gara di Vettel. “Non siamo né stupidi né pazzi e non mettiamo a repentaglio i piloti: non accadrà mai. – ha attaccato il capo della Ges - Quanti giri avremmo potuto fare? E’ scritto su un foglietto, ma non parlo prima della relazione dei tecnici. Le nostre scelte strategiche si basano su dati precisi: c’è un ingegnere dedicato alle gomme, non sta lì a masticare il chewing gum ed è pagato per fornirmi informazioni perfette. La strategia è stata decisa alle 11 del mattino, in codice era il piano A. Chi pensa che abbiamo esagerato stia zitto, non abbiamo avuto alcun segno di cedimento o di allarme prima dello scoppio. Provino a dire che è colpa nostra e vedranno cosa gli succede”.

Già nell’immediato post gara, a una domanda di Stella Bruno, inviata Rai che gli chiedeva se fosse stato un azzardo la tattica su una sosta, Arrivabene aveva risposto piccato “Tu lo chiami azzardo, io la chiamo strategia”.

Hembery dal canto suo ha replicato che “ogni team può fare quello che vuole, noi al massimo possiamo essere consultati, e non sempre accade. Se hanno portato avanti quella strategia, avvalorata dai loro calcoli, avranno avuto le loro ragioni. Che non erano tenuti a spiegarci”. In altre parole, i tecnici Pirelli avrebbero, secondo Hembery, un ruolo di mera consulenza, restano a disposizione dei team per fornire chiarimenti ma non sono tenuti a prendere l’iniziativa per correggere le scelte effettuate. Un fraintendimento “procedurale” che ha originato la falla di comunicazione alla base dell’accaduto o, più semplicemente, il classico gioco delle parti per scaricare le responsabilità alla controparte?

Col senno di poi potremmo derubricarla come strategia azzardata senza lieto fine ma, in attesa che le indagini di Pirelli facciano ulteriore chiarezza, è opportuno ricordare come la F1 rappresenti la massima forma di esasperazione prestazionale e tecnica applicata al motorsport, un approccio radicale che pone come condizione necessaria la ricerca del limite. Sarebbe bastato che la gomma tenesse un solo giro in più perché non si sollevasse il caso. Invece, episodi come quello di Vettel restano, purtroppo, una possibilità, insita nel dna della categoria - quando non frutto di negligenza o azzardo eccessivo -, e a dimostrarlo sono i pareri contrastanti nel circus.

Se Niki Lauda (“La Ferrari non deve lamentarsi se una strategia rischiosa non porta beneficio”) e Toto Wolff (“Dopo quanto successo a Nico venerdì abbiamo considerato le tre soste, altro che una”) hanno biasimato la Ferrari, Rosberg – vittima dello stesso cedimento - ne ha condiviso il tentativo, pur rischioso: “La strategia di Vettel? Ha fatto bene a provarci”.

Pareri discordanti, dunque, anche all’interno della stessa Mercedes, a testimonianza del fatto che la tattica di Vettel non fosse utopia ma un’opzione percorribile, o quasi.

L’opinione probabilmente più calzante l’ha data Alan Permane, direttore delle operazioni in pista Lotus: “Se Pirelli ci dice che le gomme possono fare 40 giri non dovrebbero esplodere dopo 28. Poi prima ci dovrebbe essere un crollo verticale e delle prestazioni con la macchina che risulta inguidabile, invece Vettel girava ancora con tempi più che accettabili”.

Un degrado – aggiungiamo – tangibile ma nella norma, che da tre giri consentiva comunque a Vettel di controllare Grosjean in uscita da Eau Rouge, dove era posta la linea di attivazione del Drs.

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